Mondo

L’adozione non è un automatismo. Lettera ai miei vescovi

Un cattolico davanti alla lettera per la Giornata della vita, di Gerolamo Fazzini

di Redazione

«Ci avrei giurato: mi sono beccato la solita omelia. Tutti gli anni, puntuale, in occasione della Giornata della vita arriva la tirata contro le giovani coppie egoiste che non vogliono figli, che pensano solo alla carriera e via di questo passo. Il tutto condito dall?ennesimo appello anti denatalità, della serie: fate figli, l?Italia andrà meglio… Mai una volta che ci si ricordi delle coppie, anche cristiane, che desiderano un bambino che non arriva. Lo sai, io e Maria ci stiamo struggendo nell?attesa, da tempo. E facciamo una fatica boia a trovare qualcuno con cui condividere la nostra sofferenza».

Desiderio e coraggio

Carlo – lo chiamerò così, per non rovinargli la privacy – è un amico, cresciuto con me in oratorio e con alle spalle anni di servizio e responsabilità in parrocchia. L?ho incontrato domenica 4 febbraio sul sagrato e mi ha subito abbordato. Lì per lì non ho trovato molte risposte pronte, lo confesso, e sono stato semplicemente ad ascoltarlo, raccogliendo il suo sfogo, intriso di amarezza.

Ma la provocazione dell?amico mi ha fatto pensare. Viviamo in un clima culturale avvelenato, nel quale la Chiesa è giustamente costretta a difendere il valore della vita su più fronti e contro attacchi pesanti da parte dei media e di una certa opinione pubblica. E tuttavia rischia talora di essere avvertita – anche dagli stessi fedeli – più come una magistra severa (talora implacabile nei suoi «no») che come una premurosa mater.

Nei giorni scorsi ho letto, nel messaggio dei vescovi italiani per la Giornata della vita dal titolo Amare e desiderare la vita, frasi come questa: «La vita va amata con coraggio. Non solo rispettata, promossa, celebrata, curata, allevata. Essa va anche desiderata». Condivido tutto, parola per parola: oggi non si scommette abbastanza sulla famiglia, sui figli; si temono i rischi e i problemi che – si sa – non mancano quando si decide di mettere al mondo altre vite. E dunque c?è bisogno di coraggio, in ultima analisi di una fede più grande.

Lacrime da asciugare

Continua il testo Cei: «Il desiderio di un figlio non dà diritto ad averlo ad ogni costo. Un bambino può essere concepito da una donna nel proprio grembo, ma può anche essere adottato o accolto in affidamento: e sarà un?altra nascita, ugualmente prodigiosa». Come non essere d?accordo? Lo dico da genitore adottivo. Eppure?

Eppure manca qualcosa. Le coppie che vorrebbero un figlio e non riescono ad averlo, prima che suggerimenti e terapie, si aspettano amicizia e condivisione. L?adozione è – chi lo nega? – una strada straordinaria per arrivare, con un percorso diverso, a vivere l?esperienza della genitorialità, sperimentando una fecondità diversa ma non meno significativa di quella biologica.

Ma non esistono automatismi di sorta. Verrà forse, col tempo, la proposta dell?adozione o dell?affido. Prima – però – ci sono lacrime da asciugare, domande da affrontare, silenzi (anche di Dio, sì) da capire o almeno da accettare come mistero. C?è in gioco – qui – il destino dei singoli e della coppia. Del resto, quello della sterilità e della sofferenza ad essa legata è un tema antico come l?uomo, se è vero che anche nella Scrittura ne troviamo traccia. Una Chiesa «esperta in umanità» troverà allora nella Parola – e nella Parola fatta carne – le parole che l?uomo, da solo, non saprebbe osare.

Ebbene. Non so quanti altri Carlo ci siano, ma temo siano molti. Ecco perché domenica sera, nel ripensare alla sfuriata dell?amico, mi son detto: una comunità cristiana attenta ai segni dei tempi deve saper trovare parole anche per Carlo e chi vive nella sua situazione. E forse una prima parola – paradossalmente – è il silenzio: il silenzio dell?ascolto, il silenzio di una preghiera, il silenzio della condivisione del cuore. Il resto viene dopo.

Gerolamo Fazzini è condirettore del mensile Mondo e Missione

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