Famiglia
L’affidamento? Non diventi un affibiamento
«Ci vuole pazienza. E ognuno deve fare la sua parte. Anche le comunità, che hanno un ruolo indispensabile». Il punto di vista di un grande esperto, Paolo Onelli
di Redazione
Abbiamo chiesto a Paolo Onelli, autore di uno dei più bei libri dedicata all?accoglienza degli adolescenti (La loro storia è la mia, edizione Ancora del Mediterraneo), oggi direttore generale della quinta divisione del ministero del Welfare, un commento alla proroga alla chiusura degli istituti. «Mi sembra confermi la difficoltà del sistema nell?assistenza all?infanzia. La questione di come si promuove la solidarietà familiare è una assoluta priorità». Onelli lancia anche una formula suggestiva: «Dobbiamo lavorare per una forma di artigianato evoluto del welfare che lavora sulle persone».
Vita: Cominciamo dalla questione chiave: l?affido non è stato sufficientemente sostenuto?
Onelli: L?affido è un tema su cui il sistema di welfare municipale italiano registra delle difficoltà. È un intervento in sé semplice ma anche molto complesso che richiede capacità di gestione da parte dei servizi sociali, costante attività di promozione, disponibilità delle famiglie. Non basta prevederlo per legge. Occorrono programmi mirati che lo rendano credibile agli occhi dei cittadini che sarebbero disponibili ma hanno bisogno di essere formati, sostenuti, accompagnati.
Vita: Programmi che non ci sono stati?
Onelli: Quanto meno non omogeneamente. In ogni caso serve un rilancio sul piano nazionale.
Vita: Manca poi un lavoro comune fra enti locali e privato sociale…
Onelli: È una questione cruciale. L?affidamento richiede una capacità della struttura pubblica di lavorare a contatto con il privato sociale. Ma questo è un obiettivo ancora da raggiungere, non lo possiamo dare per scontato. È difficile tenere insieme logiche diverse ed è per questo che serve una regia: ciascuno dei protagonisti dell?affido – pubblico, privato sociale, famiglie, eventualmente tribunale – ha bisogno di una garanzia del proprio ruolo.
Vita: Le famiglie preferiscono trattare con le associazioni?
Onelli: È legittimo immaginare che ci sia una non spontanea confidenza del cittadino nei confronto di un?istituzione pubblica. Ma non è una precondizione ideologica. C?è qualcosa da cambiare per facilitare rapporto fra istituzioni, cittadini e terzo settore. Non basta delegare alle organizzazioni per avere il successo delle iniziative. Vanno modificate concretamente le condotte, migliorate le politiche, favorita l?integrazione delle diverse culture di cui ciascuno di questi tre soggetti è portatore.
Vita: Cosa caratterizza un buon affido?
Onelli: L?integrazione. Spesso per definire un buon progetto, mirato e specifico, è necessario passare per la comunità. Non basta prendere un bambino e metterlo nella famiglia affidataria. Deve essere un affidamento, non un affibbiamento. È quella forma di artigiananto evoluto del welfare che lavora sulle persone. E che ha bisogno di tempo. L?affidamento non è alternativo alla comunità: il ricorso alle comunità è indispensabile proprio perché si realizzino buoni affidi.
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