Giustizia

Lavoro in carcere: ecco cosa non funziona nella legge Smuraglia

Durabilità nel tempo, dimensionamento economico, qualità delle collaborazioni istituzionali: sono questi i tre fattori critici del lavoro in carcere. Dialogo con il professore Filippo Giordano che ha presentato una ricerca promossa dal Cnel sugli enti che beneficiano della legge Smuraglia

di Ilaria Dioguardi

La giornata di lavoro “Recidiva zero”, organizzata dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro-Cnel in collaborazione con il ministero della Giustizia, è stata l’occasione per approfondire il tema dell’inclusione sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale. «Dal 2023 al 2025 il numero di enti fruitori della legge Smuraglia è cresciuto del 40%, però lo sviluppo e l’incremento numerico delle opportunità lavorative e di reinserimento in favore delle persone in esecuzione penale è legato non solo all’ampliamento della platea dei datori di lavoro, ma soprattutto alla durabilità e allo sviluppo nel tempo delle attività economiche», dice Filippo Giordano, ordinario di Economia aziendale all’Università Lumsa di Roma, membro del Segretariato Cnel. La Legge Smuraglia, la 193/2000, mira a favorire l’attività lavorativa dei detenuti, offrendo incentivi fiscali e contributivi alle imprese che li assumono. 

Alto tasso di caduta tra il 2024 e il 2025

«È la sostenibilità delle attività economiche che permette di dare continuità ai percorsi di inclusione lavorativa e, quindi, generare impatto in termini di riduzione della recidiva», afferma Giordano. Dall’analisi dei dati pubblici disponibili sulla Smuraglia «emergono tre criticità delle attività lavorative in carcere. La prima riguarda la continuità. Osservando i dati del triennio si osserva che meno del 25% (239 enti) ha fruito dello sgravio fiscali su tutti e tre gli anni», prosegue Giordano.

«Questo evidenzia una rilevante questione relativa alla continuità dei percorsi di inclusione e alla precarietà delle attività economiche che merita un necessario approfondimento. Ciò è confermato dall’alto tasso di caduta che si registra tra il 2024 e il 2025: dei 210 nuovi fruitori di Smuraglia del 2024, solo 88 enti hanno ricevuto ad oggi finanziamenti anche per il 2025. L’importo delle agevolazioni fiscali richieste per il 2025 è circa 12 milioni 431mila euro».

Su circa 1.060 enti fruitori di Smuraglia, meno del 25% ha fruito dello sgravio fiscali in tutti e tre gli ultimi anni

Solo il 9% degli enti ha percepito più di 50mila euro

La seconda criticità delle attività lavorative in carcere è la volatilità. «Gli importi erogati di Smuraglia presentano una grande variabilità, sia in positivo che in negativo, degli importi. Ci sono organizzazioni che registrano incrementi o riduzioni percentuale a tre cifre. In particolare, degli enti che hanno fruito di Smuraglia nel triennio in esame, circa il 60% presenta nel 2025 variazioni rispetto al 2023, con il segno “più” o con il segno “meno”, superiori al 20%».

La terza criticità concerne il dimensionamento. Solo il 14% degli enti, nel 2024, «ha percepito un importo maggiore di 24mila euro, ossia in grado di garantire l’assunzione di quattro detenuti full time per 12 mesi. Questi rappresentano il 72% dell’erogato. Mentre il 7% ha percepito un importo maggiore di 50mila euro, ossia in grado di garantire l’assunzione di otto detenuti full time per 12 mesi».

Una curiosità: il 40% degli enti che beneficiano della Smuraglia per oltre 50mila euro sono aderenti a Confcooperative Federsolidarietà.

Filippo Giordano

Una ricerca sui soggetti fruitori degli sgravi fiscali

Il Cnel ha avviato a metà maggio una ricerca finalizzata ad analizzare le attività economiche portate avanti dai soggetti fruitori degli sgravi fiscali previsti dalla legge Smuraglia. «A tre settimane dall’avvio hanno risposto 65 enti corrispondenti ad una copertura dell’11% del totale dei fruitori Smuraglia 2024 e del 27% dell’erogato», dice Filippo Giordano, curatore della ricerca. I primi risultati forniscono già importanti indicazioni circa i fattori alla base della sostenibilità e dello sviluppo delle attività lavorative negli istituti di pena.

«In particolare, sono identificate tre dimensioni di sostenibilità: economica, legata alle caratteristiche delle attività economiche, al loro dimensionamento, alle peculiarità del modello di business; sociale, relativa alla qualità e tenuta dei percorsi di inclusione lavorativa; istituzionale relativa all’ambiente istituzionale in cui si svolge l’attività economica».

Nel 2024 il 14% degli enti ha percepito un importo maggiore di 24mila euro, in grado di garantire l’assunzione di quattro detenuti full time per 12 mesi, mentre solo il 7% ha percepito un importo maggiore di 50mila euro, in grado di garantire l’assunzione di otto detenuti full time per 12 mesi

Se tutte le dimensioni sono fondamentali per la sostenibilità aziendale, i rispondenti attribuiscono maggiore peso alla sostenibilità istituzionale, «in particolare alla qualità della collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, su una scala da 1 a 5 la media dei valori registrati è 3,2. Gli aspetti legati alla sostenibilità economica e sociale sono messi sullo stesso livello, la media dei valori registrati si attesta sul 2,8 e 2,7».

Foto di apertura di Marko Lovric da Pixabay e, nell’articolo, fornita da Filippo Giordano

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