Famiglia
Le 12 famiglie professioniste nellaffido
Lamministrazione provinciale e quattro cooperative sociali hanno varato il progetto. Con lobiettivo di trovarsi pronti alla chiusura degli istituti tra poco più di un anno.
S ono 12 famiglie normalissime, composte di operai, insegnanti, poliziotti, casalinghe. Vivono a Milano o nella provincia. Forse non lo sanno nemmeno, ma sono al centro di un grande dibattito sociale e politico. Perché, mentre si avvicina la scadenza (31 dicembre 2006) della chiusura degli istituti per minori e il sistema dell?affido familiare continua a essere, malgrado il suo enorme valore, trattato come una cenerentola dalle amministrazioni locali, queste 12 famiglie hanno in corso un?esperienza di accoglienza che si è tradotta anche in un lavoro.
è il servizio delle Famiglie professionali attivato dalla Provincia di Milano in collaborazione con quattro cooperative sociali (Afa, Cbm, Comin, La Grande Casa). Come funziona? La famiglia professionale accoglie in casa propria un bambino o un adolescente con ?importanti bisogni? (ad esempio ragazzi rimasti troppo a lungo in comunità, stranieri soli, bambini maltrattati che hanno bisogno di recuperare fiducia negli adulti, ecc.), e lo segue per un periodo di tempo determinato (massimo due anni).
è necessario che all?interno della famiglia ci sia un ?referente? del progetto, libero da occupazione o al massimo impegnato in un lavoro part time, che firmerà il contratto con la cooperativa e percepirà un compenso di 1.060 euro lordi mensili. Partito a fine 2002 con la ricerca, la selezione e la formazione dei nuclei familiari più idonei, ora il progetto vede, oltre a questo gruppo di famiglie già ?operative?, altri 12 nuclei già ?formati? e pronti all?accoglienza.
Da Trieste alle province del Verbano, ora diverse amministrazioni in Italia sono interessate all?esperienza di Milano, tanto più che la Provincia ha annunciato un primo bilancio dell?esperienza il prossimo 20 giugno. «Senza la pretesa di dare statistiche, posso dire che i risultati sono stati molto incoraggianti», spiega Flavia Salteri, coordinatrice del servizio. «Questa sperimentazione, ci tengo a precisarlo, non è un?alternativa ma solo una possibilità di accoglienza in più, che si affianca alla comunità e all?affido tradizionale. Le famiglie ?professionali?, invece, sono appositamente preparate alle difficoltà che avranno di fronte, attraverso un corso specifico di formazione, e vengono affiancate da un tutor messo in campo dalla cooperativa».
La formula, per la verità, non convince le famiglie affidatarie ?tradizionali?. «Si può ?professionalizzare? l?esperienza dell?affido familiare?», si domanda la presidente di Anfaa (l?Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), Donata Micucci. «A mio avviso, no. Più che professionalizzare le famiglie, snaturando il gesto volontaristico dell?accoglienza, credo si dovrebbe piuttosto affiancare alle famiglie dei professionisti, capaci di sostenerle nel percorso educativo e di gestire, contemporaneamente, l?uscita della famiglia d?origine dalle sue difficoltà».
Questo, purtroppo, in molte realtà del Paese resta un desiderio scritto nel libro dei sogni. Chi affronta il percorso dell?affido, ancora oggi, vive un?esperienza di grande ?abbandono?. Inserito il bambino in famiglia, con tutto il suo carico di difficoltà, la coppia affidataria si deve assumere quasi interamente il ?peso? della gestione dell?affido. In molte città il sussidio rappresenta una cifra irrisoria: dai 50 ai 300 euro mensili, spesso saldati con mesi e mesi di ritardo.
«Adesso succede che nelle regioni del Sud», commenta Luciana Iannuzzi, una mamma affidataria di Bari che è presidente dell?associazione Famiglia Dovuta, «molti Comuni che non hanno mai sperimentato l?affido in senso tradizionale vogliono imbarcarsi nell?affido professionale. Noi vediamo la cosa con preoccupazione, perché temiamo che i candidati vogliano trovare una soluzione ad una necessità lavorativa, piuttosto che alle esigenze di un bambino».
Su questo punto, dall?esperienza del servizio Famiglie professionali di Milano arriva un?energica rassicurazione: «La scelta di accoglienza non è certo contrattualizzata. è una scelta già stata maturata nella famiglia», sottolinea Claudio Figini, della cooperativa Comin. «Non si professionalizza mai l?affetto».
«Per noi la famiglia non può trasformarsi in un erogatore di servizi», ribadisce Donata Micucci. «Deve essere un interlocutore alla pari nel progetto di accoglienza di un minore. Sta alle istituzioni realizzare delibere che rendano l?affido un?esperienza possibile e praticabile».
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