Non profit
Le esenzioni Ici? Fanno bene ai Comuni
Non profit il boomerang della campagna lanciata dai Radicali
di Redazione

I Radicali la definiscono una battaglia per «abolire i privilegi degli enti ecclesiastici», ma la campagna mediatica e politica – così facile in questo tempo di crisi e di tagli – per l’annullamento dell’esenzione Ici rischia di fare molto male anche al non profit e ai suoi “utenti”.
In queste settimane si continua a citare, sempre per voce radicale, una stima dell’Anci – Associazione nazionale Comuni italiani sul “minor gettito” dovuto alle esenzioni, pari a 400 milioni di euro l’anno. L’Istituto per la finanza e l’economia locale ? che è la Fondazione Anci preposta allo studio dei “conti” comunali ? interpellato da Vita ha fatto sapere di non aver mai divulgato questa stima.
Ma, a prescindere dall’ammontare, è il dibattito stesso sul presunto “minor gettito” ad essere viziato: «C’è una parte di società che pensa che ciò che ha funzione pubblica deve essere assolta esclusivamente dallo Stato», riflette Andrea Olivero, portavoce del Forum del terzo settore e presidente delle Acli. «E quando è il privato a svolgere, in tutto o in parte, questa funzione, sembra che non sia possibile riconoscerlo. Le realtà del non profit italiano svolgono servizi di cura e assistenza che sono a disposizione di tutti i cittadini: non ci sono privilegi di sorta, ma soltanto il riconoscimento, da parte della legge istitutiva dell’Ici, che tali attività sono da riconoscere e sostenere come meritorie».
Cosa stabilisce la legge? Prima di tutto, annovera tra i soggetti potenzialmente esenti tutti gli enti non commerciali (compresi naturalmente gli enti ecclesiastici, che vi rientrano esattamente come molti altri del non profit), dalle associazioni sportive dilettantistiche a quelle di promozione sociale, dalle organizzazioni di volontariato alle onlus, fino alle pro loco e gli enti pubblici territoriali. Ma la condizione “soggettiva” non basta a far scattare l’esenzione, è necessaria anche una contestuale condizione “oggettiva”: negli immobili devono essere svolte alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di religione o di culto.
L’esenzione dunque non riguarda affatto tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali, ma solo quelli destinati allo svolgimento delle nove attività che la legge prevede. In tutti gli altri casi (librerie, ristoranti, hotel, negozi, appartamenti in locazione) l’imposta è dovuta e gli enti infatti la pagano come tutti.
È vero, dunque, per citare una riflessione di Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per il terzo settore, che sulla questione Ici «prima di intervenire bisogna conoscere le leggi». E, soprattutto, farsi una domanda: «Sarebbe davvero conveniente per i Comuni italiani, che hanno la responsabilità dei servizi di cura, impedire al non profit di sopravvivere, incrinando la tenuta dell’assistenza a livello locale?». Per mettere in cassa questo famoso “minor gettito”, sottolinea il professore, le amministrazioni sarebbero costrette a spendere il quadruplo per la gestione diretta dei servizi finora assolti dalle organizzazioni.
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