Lo scandaloso ritardo nel pagamento degli arretrati ai fornitori della pubblica amministrazione costituisce l’ennesima scelta autolesionistica della nostra politica, che per proteggere anni e anni di scellerata spesa pubblica e di debiti, scarica sul Paese reale il peso di tale comportamento. Forse in questi giorni qualcosa si sblocca, almeno a livello nazionale, almeno per una piccola parte di quei 90/100 miliardi di euro (due o tre Finanziarie!) che governo, Regioni, Comuni ed enti locali di varia natura devono pagare ad aziende per lavori già svolti, spesso con ritardi che superano i due anni. Crediamo che non ci si possa limitare a cercare nelle pieghe del bilancio le poche risorse per restituire una parte di tale “prestito obbligato” dalle imprese ai bilanci della pubblica amministrazione: questo è doveroso. Pensiamo che sia indispensabile un piano di rientro globale, che nell’arco di tre-quattro anni consenta alle imprese creditrici di poter finalmente ottenere quanto è loro dovuto. Questo piano deve vincolare non solo il governo centrale, ma anche l’intero sistema decentrato della pubblica amministrazione.
Non solo perché, in fondo, si tratta “solo” di onorare gli impegni, ma soprattutto perché questo costituirebbe una sicura iniezione di fiducia, liquidità e certezza per quell’economia reale troppo spesso dimenticata anche da questo governo, che lavora, produce, genera occupazione. Si aggiunge poi a questa situazione anche il drastico credit crunch operato dal sistema bancario nei confronti del credito a famiglie e imprese (soprattutto piccole), per cui l’accesso al credito è diventato oggi ancora più difficile e costoso. Miliardi e miliardi di denaro pubblico nazionale ed europeo sono stati erogati a tasso agevolatissimo alle banche e da queste girati col contagocce ed a tassi ben più corposi a privati e imprese. Oggi è tempo che le banche restituiscano questo sostegno a favore dell’economia reale, delle famiglie, delle aziende artigianali, di quella rete capillare di microimprenditorialità diffusa che ha fatto grande il nostro Paese, e che tuttora regge l’impatto della crisi. Ma se la pubblica amministrazione per prima non rispetta regole e vincoli per poter e dover restituire il dovuto in tempi ragionevoli (correndo anche il rischio di procedure di infrazione rispetto alle direttive europee), come potrà richiamare il sistema bancario ad analoga responsabilità?
Tra i criteri da seguire in questo piano di restituzione ? che, ripetiamo, deve darsi l’obiettivo di sanare l’intera esposizione debitoria, sia pur nel medio periodo ? oltre all’ovvio criterio della “anzianità” del debito, occorre privilegiare le imprese non profit e le piccole imprese, in modo da restituire ossigeno e capacità finanziaria a quei soggetti che hanno meno struttura per sopportare mancate entrate e che hanno più difficoltà ad essere sostenuti dal sistema creditizio bancario. Per una volta sosteniamo una parte del Paese che si muove senza scopo di lucro, che valorizza la microimprenditorialità e che finora è apparsa largamente ignorata dalle priorità del governo. Non si tratta di chiedere denaro pubblico in più: si tratta di restituire il dovuto, dopo mesi e mesi, se non anni, di scandaloso ritardo. Come può resistere una associazione che gestisce una comunità alloggio per minori, se le rette dei bambini ospitati vengono pagate dai Comuni dopo due anni?
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