Non profit
Le parole non stiano sedute
L'attore-scrittore-pittore. Volontario alla Casa dei risvegli
di Redazione

«Non devono partecipare all’estetizzazione dominante. Oggi le buone ragioni producono norme. Io dico che invece si deve pensare all'”enorme” questione che ci sovrasta» Scrittore, autore e attore, militante patafisico (la «scienza delle soluzioni immaginarie» creata da Alfred Jarry) e volontario alla Casa dei Risvegli Luca de Nigris di Bologna, pittore. Difficile collocare Alessandro Bergonzoni, artista che dello spiazzamento ha fatto la chiave stessa della propria arte. Basterebbe il titolo di uno dei suoi ultimi libri, Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa (Bompiani, 2005) per capire quale sia il giocoso lavoro sul linguaggio e quale il «furioso corpo a corpo» con una fantasia sempre in movimento. Attualmente, Bergonzoni è in tournée con – parole sue – «l’apologia di creato» dello spettacolo Nel.
Vita: Si parla molto di libertà di parola e di pensiero. Quando però un artista mette in pratica questa libertà di parola e soprattutto di pensiero, lo si riconduce in qualche schema. Non si è stancato?
Alessandro Bergonzoni: È una questione per me fondamentale. Di solito ci si ferma alla superficie del mio lavoro, mentre da anni questo lavoro è tutt’uno con il tentativo di concretizzare certe parole in libertà. Parole che – e qui sta il punto – sono pensiero in azione. Questo pensiero comincia però a creare degli stati d’ansia, di intraducibilità che pochi riescono a individuare.
Vita: Perché succede?
Bergonzoni: Visti i tempi di spettacolarizzazione radicale, dove anche il dolore diventa merce di consumo ludico e sadico, siamo portati a ragionare per banalizzazioni, per sintesi. Ma queste sintesi non possono prodursi se ci si mette la fantasia di mezzo. Io punto all’arte per cercare di offrire possibilità altre di riflessione che sfuggano alla sintesi pretesa oramai come un sacrificio assoluto dal “Dio della cronaca”. Riflessioni altre, aperture, brecce. E lì ci passa il pensiero.
Vita: L’arte ha un legame col proprio tempo?
Bergonzoni: L’arte ha un grandissimo legame col presente e, appunto per questo, dobbiamo chiederci quale sia il presupposto, il punto fermo da cui partire. Io lo ritrovo in questo dato empirico: la gente ha paura. Come lavorare partendo da questa semplice, ma spererei non banale, considerazione?
Vita: Di che cosa ha paura la gente?
Bergonzoni: Ha paura di perdere il controllo e le proprie ragioni. Con la parola della fantasia, con la parola in fantasia, con la fantasia che si mette in mezzo tra me e le mie presunte ragioni, le ragioni cominciano a essere della parola e non dell’uomo. L’uomo è un animale strano, specie quando crede troppo in quelle “ragioni”. In questa paura inscriverei anche la paura del trascendente. E qui intendiamoci: quando dico “trascendente” vedo la manina alzata e il saputello di turno che sventola le quattro dita delle proprie belle ragioni dicendo alla maestrina: «Sento puzza di Dio». Se aggiungo poi la parola “anima”, allora ecco subito un’altra manina alzata, e se aggiungo “spiritualità” le manine alzate sono tre. Vaglielo a spiegare a queste tre manine che il trascendente è altro. Poi quelle tre belle manine, con le loro belle testoline se ne vanno, che ne so, un fine settimana a un festival della spiritualità di massa o della filosofia o a sentire la conferenza di Tizio e la retroconferenza di Caio, magari su quegli stessi temi e magari convenendo pure sulle grandi questioni. Ma le grandi questioni rimangono tali, confinate nello zoo delle riflessioni che non scuotono e allora ecco le tre manine giunte, pacificate e laicamente riconciliate in dialettica sintesi, che se ne tornano a casa mentre il mondo per loro, e anche per noi, rimane quello che era prima.
Vita: Quando parla di “anima” a che cosa si riferisce?
Bergonzoni: A quella parte di me che mi trascende. A quello che ci ha insegnato l’arte, penso a Kandinsky, penso a uno spirito sottile non piegato sulla miserabile messa in scena del quotidiano, così come ce la offre la cronaca. Schiere di telecamere col pallino rosso acceso in attesa di una sentenza e l’imputato o l’imputata che si presenta col trucco rifatto. Quando penso all’anima penso alla cultura, perché il problema è culturale e i mezzi di distrazione di massa hanno distratto la gente dalle esigenze proprie e dell’altro, hanno slegato, spaccato, messo tutto nell’ovatta e al tempo stesso amplificato. Quando dipingo, non penso che i miei quadri debbano finire in un museo. Penso debbano suscitare pensiero, fare qualcosa. Lo stesso quando scrivo, parlo, sono a teatro. Ma succede davvero? O non stiamo andando verso tutt’altra dimensione: i quadri in un museo, i libri sullo scaffale magari senza essere stati letti, le parole al loro posto, sedute e tranquille…
Vita: Parafrasando il titolo di un suo libro (Le balene restino sedute, Mondadori, 1989), potremmo dire che le parole non debbano restarsene sedute…
Bergonzoni: E non devono né partecipare né ridursi a quella estetizzazione della violenza domestica e sociale in genere. Le tante buone ragioni di chi vuole avere sempre e soltanto ragione producono norme, io direi che dovremmo produrre l’enorme. Nel senso che il problema non sono le norme, ma il problema è l’enormità del problema che ci sovrasta, che ci chiama in causa. Come menti, come anime, come corpi.
Vita: Nel 1948, un artista radicale e inclassificabile come Artaud parlava di «corpo senza organi». Oggi siamo nell’epoca degli organi senza corpo?
Bergonzoni: Io vorrei dire che cosa non è un corpo. Ma questo non è intendiamolo per eccesso, non per difetto. Sicuramente il corpo è di più, è altro rispetto a quanto ci dicono certi discorsi “scientifici”. Quando un corpo non serve più, che si fa? Lo si butta. Quando non consuma più, che si fa? Lo si butta. Quando una bocca non si apre più, che si fa? La si butta, con tutto il resto. E questo senza chiedersi se un gesto minimo, un impercettibile sorriso, un battere di ciglia non siano lì a chiederci: ma cosa fai? Perché non mi ascolti? Siamo al pensiero che urla nel silenzio per farsi ascoltare. Siamo agli schemi, alle buone ragioni senza fantasia, siamo alle norme. Io qui dico no, il problema è enorme, è un enorme problema culturale, non solo scientifico. Sono “quelle cose lì”, i corpi? Quelle cose che vedo in televisione, corpi di assassinati e di assassini sorridenti? Belle gambe che danzano in assenza di gravità? Non sono innocue queste trasmissioni, hanno costruito il mito della bellezza unica e del dolore accettabile solo se spettacolarizzabile. Ma chi non si ferma all’estetica, rimane isolato. Anche negli ospedali. Pensiamo a Ron Houben che grazie a un computer ha riassunto il dramma del risveglio dal coma: «Urlavo ma non riuscivo a far sentire la mia voce». Eppure lui era vivo.
Vita: Lei lavora anche alla Casa dei Risvegli di Bologna, che si occupa di riabilitazione e ricerca sulle lesioni cerebrali…
Bergonzoni: Sì, e non sono corpi, non sono anime, non sono uomini quelli che arrivano alla Casa dei Risvegli? Solo perché non sanno produrre li dovremmo buttare in una discarica? La malattia continua ad essere letta attraverso la lente dell’economia. La nostra vita continua ad essere letta nell’ottica della performance, della produzione e del consumo. Educati alla paura, l’altro ci fa paura. La questione è enorme. Sul piano culturale e su quello antropologico.
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