Welfare

Le parole&Le cose. ‘ndrangheta

Intervista al magistrato Nicola Gratteri

di Redazione

Vita: Dopo la strage di Duisburg la ?ndrangheta appare più forte che mai. O almeno così la rappresentano i grandi media. Lei è d?accordo o ritiene quella strage una dimostrazione di debolezza?
Nicola Gratteri: Non vi è dubbio che negli ultimi 10 -12 anni le ?ndrine (le cosche calabresi, ndr) si siano rafforzate e siano diventate più arroganti. Questa escalation si deve a due fattori principali. L?ingresso nel ricchissimo business degli stupefacenti e lo sgretolamento a colpi di piccole modifiche che si è fatto della legislazione antimafia. Ciò detto, l?episodio di Duisburg va collocato su un altro piano.

Vita: A che cosa si riferisce?
Gratteri: Nel mondo criminale di cui stiamo parlando, si ammazza per due ordini di motivi, che rispondono a due filosofie differenti. Un ?ndranghetista può venir eliminato quando non rispetta le regole. Le faccio due esempi: l?incendio di un negozio in una zona non di pertinenza oppure la delazione a polizia o carabinieri senza autorizzazione. Non è il caso di Duisburg. Qui siamo di fronte ad un omicidio per faida. Dove si viene uccisi solo per il fatto di essere parenti, amici o frequentare qualcuno di sbagliato. Spesso i morti per faida cadono, come del resto è accaduto in questa occasione (la strage è stata compiuta a Ferragosto), in un giorno di festa, quando dal punto di vista simbolico fa più male. È una sciocchezza dunque ritenere che i locali della ?ndrangheta si siano riuniti e abbiano deciso un?azione di forza per dimostrare qualcosa allo Stato. Come, del resto, non risponde al vero il ritornello che è la prima volta che un omicidio per faida si realizza all?estero. Era già accaduto in Canada, a Montreal, durante la faida di Siderno. Tornando a Duisburg, il fatto che la strage sia stata commessa proprio in quella città significa che lì c?era una base logistica sia per gli assassini che per gli assassinati. La faida però è anche una guerra più cruenta: per usare un paragone calcistico è come un derby, dove se perdi la sconfitta ti dà maggiori sofferenze.

Vita: Il vescovo di Locri-Gerace, GianCarlo Bregantini si è appellato alle donne. Un gesto da ultima spiaggia?
Gratteri: Al contrario. Bregantini ha dimostrato di conoscere il meccanismo. Nelle faide le donne hanno un ruolo decisivo. Sono loro che caricano come molle gli uomini affinché facciano vendetta. L?accelerazione o il rallentamento di una faida dipende quasi esclusivamente dalle donne. Debbo dire, da questo punto di vista, che su Duisburg i segnali che sto raccogliendo non sono distensivi.

Vita: Lei ha scelto di intitolare il suo libro sulla ?ndrangheta Fratelli di sangue. Quanto è importante il sangue nella vita di un mafioso?
Gratteri: Il sangue accompagna tutta la loro esistenza. Dal rito di affiliazione sino alla morte per omicidio. Il primogenito di un ?ndranghestista entra nell?organizzazione quando è ancora in fasce. La regola impone che il capo locale vada a far visita al neonato e gli tagli le unghie: è il segno della predestinazione. Da quel momento il bambino è una ?piuma?. L?ingresso vero e proprio avviene invece all?età di 12 -13 anni attraverso una sorta di battesimo. Con un ago si buca un dito della mano destra al ragazzo. Si lascia quindi cadere la goccia di sangue sull?immagine di san Michele Arcangelo, protettore della ?ndrangheta e, caso vuole, anche della Polizia di Stato, dopo di che il santino viene bruciato con la fiamma di una candela mentre si recita la formula rituale: «Se tu tradirai, brucerai come questa immagine di san Michele Arcangelo».

Vita: Lei ha parlato di morti ammazzati. È questa l?unica fine possibile per un affiliato?
Gratteri: Se non in carcere dopo una lunga condanna, è raro che un mafioso di una certa importanza muoia di morte naturale. Chi rimane a piede libero, prima o poi viene ucciso. Da una parte ognuno di loro spera sempre di farla franca, ma tutti comunque mettono in conto questa eventualità.

Vita: Un rischio calcolato, ma solo il 10% dei mafiosi fa davvero i soldi, per gli altri i guadagni non sono certo da favola. Come si spiega dunque questo atteggiamento?
Gratteri: Non si entra nella ?ndrangheta per fare i soldi. Quello che attira i giovani (dalle statistiche emerge che il 59% degli affiliati alla fine del 2005 aveva un?età inferiore ai 45 anni) è lo stile di vita che ti consente l?appartenenza a una cosca. In molti entrano come garzoni di mafia e muoiono da garzoni di mafia, ma finché sono in vita si sentono un palmo sopra gli altri. È il fascino della segretezza, del rito di protezione, della sicurezza di avere sempre qualcuno che ti copre.

Vita: Il giro di affari della ?ndrangheta è impressionante, un impero che si basa su una struttura arcaica. Com?è possibile?
Gratteri: La favola della ?ndrangheta paladina dei deboli e dei valori non è altro che un mito. L?obiettivo, al di là delle parole, sono gli interessi e il business. Nelle case dei mafiosi c?è il collegamento al web, usano le mail e si servono della Rete per vendere la droga. Secondo la Dia l?organizzazione calabrese è la mafia che più naviga su internet.

Vita: A quasi due anni dall?assassinio Fortugno, cosa è cambiato nel rapporto fra cittadinanza, criminalità e politica?
Gratteri: Nulla. La gente è stanca e disincantata. Nella prima pagina del mio libro ho messo una citazione di Corrado Alvaro: «La disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». In Calabria ancora oggi nessuno può avere garanzie sulla propria sicurezza.

Vita: Non pensa che almeno in una piccola misura il movimento dei giovani di Locri sia riuscito a scuotere le coscienze?
Gratteri: Quell?esperienza si sta sgretolando come neve al sole. Le apparizioni in tv hanno creato spaccature, oggi non sono rimasti che poche decine di ragazzi.

Vita: Negli ultimi anni il mondo della cooperazione sociale ha scelto di battersi in prima linea contro la criminalità. Come valuta questa iniziativa?
Gratteri: Si tratta di una presenza importante, come lo sono le testimonianze del vescovo Bregantini o di un imprenditore innamorato della sua terra qual è Callipo. Certamente la cooperazione sociale può giocare un ruolo decisivo, a patto che non si faccia infiltrare, come è successo con l?associazione Libera di don Ciotti.

Vita: Il fin dei conti la guerra alla ?ndrangheta si vince a Roma o a Reggio Calabria?
gratteri: L?impostazione bipolare della contesa politica certamente ha facilitato la mafia. In questo quadro il controllo del 10 -20% delle preferenze determina la vittoria di uno schieramento piuttosto che dell?altro. Così i mafiosi diventano attori politici e partecipano alle decisioni su chi nominare sindaco, ma anche vigile urbano o dirigente comunale. Il provvedimento più urgente è la modifica del Codice di procedura penale. Non è possibile che a condanne a 30 anni coincidano detenzioni di soli 5 anni. Così capita che io in 20 anni mi trovo a indagare per quattro volte la stessa persona. Io però non mi arrendo e ritengo che se davvero ci fosse la volontà di cambiare, a certe condizioni riusciremmo anche ad arrivare ai piani alti dell?organizzazione.

Vita: Non ha nominato la parola pentito. Contro la mafia siciliana in un certo periodo storico sono stati decisivi?
gratteri: Sa quanti sono stati nella storia i reali pentiti di ?ndrangheta sino ad oggi? Solamente due: Franco Pino, che a Cosenza fu uno dei responsabili di una delle più cruente guerre di mafia, e Filippo Barreca di Reggio Calabria che, fra le altre cose, ha svelato i rapporti segreti con esponenti della massoneria. Nessun altro. Glielo già detto: questa è una mafia di sangue.

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