Non profit

Legacoopsociali a congresso. «Aprire ad altri soggetti sociali»

Il via a Roma da oggi. Intervista a Paola Menetti

di Redazione

Al via il 2° Congresso nazionale di Legacoopsociali, Associazione Nazionale delle Cooperative Sociali aderenti a Legacoop. I lavori si tengono alla  Sala Capranica, Conference Center Hotel Nazionale, Piazza Montecitorio 131 Legaccopsociali è una realtà che oggi rappresenta oltre 2.000 cooperative e consorzi, diffusi in tutto il territorio nazionale (il 35% nelle regioni meridionali), che danno risposte qualificate e flessibili ai bisogni di oltre 1.500.000 persone e famiglie, con 105.000 soci (70% lavoratori, 30% “utenti” e volontari) ed un valore della produzione di circa 3.000 milioni di euro. Vi lavorano stabilmente oltre 90.000 addetti, e, tra questi, circa 11.000 sono persone svantaggiate. Oltre il 70% degli addetti sono donne. Una realtà che, per la capacità di coniugare vocazione imprenditoriale e responsabilità sociale, si è connotata nel tempo come soggetto stabile ed attivo di comunità e di welfare.

Nella foto: i soci di Le Mat, cooperativa di Legacoopsociali

Ecco l’intervista che la presidente Paola Menetti ha rilasciato per l’inserto SocialJob di Vita non profit magazine.

SocialJob: Uno degli spunti di riflessione che affronterete riguarda la “dimensione” della cooperazione sociale. Perché è importante oggi affrontare questo tema?

Paola Menetti: La nostra realtà è caratterizzata da dimensioni medie, maggiori rispetto alla platea complessiva delle cooperative sociali, come confermano i dati Istat. Nonostante questo, tutti i dati di cui disponiamo ci dicono che una percentuale altissima delle nostre aderenti sono  cooperative di  piccola e piccolissima dimensione. Semplicemente diciamo che  nelle piccole dimensioni ci sono aspetti positivi, dal momento che una cooperazione sociale fortemente radicata e articolata nei territori è più agevolata nella realizzazione della sua mission. Però, indiscutibilmente, in questo dato dimensionale c’è anche un limite che si riflette sugli strumenti e sulle capacità di progettare e incidere nelle situazioni. La grande dimensione non è di per sé un valore positivo in assoluto: è chiaro, però, che va trovato un punto di equilibrio fra  la  dimensione più vicina alle persone e la capacità di fare rete fra le cooperative, di acquisire, cioè, la consapevolezza che il lavorare insieme produce risultati più significativi rispetto al perdurare di una situazione di grandissima frammentazione. Questo tema diventa poi centrale in quegli ambiti in cui la cooperazione sociale può rappresentare un soggetto fondamentale per il welfare del futuro.

SJ: Nei documenti preparatori si parla anche di una presenza troppo ­massiccia di operatori rispetto a quella dei manager…

Menetti: In effetti non mi pare che diciamo questo. La storia della cooperazione sociale è una storia recente. La maggior parte delle nostre cooperative si è costituita dopo il 1990. È un’esperienza, quindi, che non ha alle spalle una storia pluridecennale, ma che tuttavia ha prodotto innovazione nel campo dei servizi alle persone e dell’inserimento lavorativo. Questo è un settore che per lungo tempo – ed è un fatto positivo e per certi versi straordinario – ha formato al suo interno i propri dirigenti, che sono nella maggior parte persone che hanno cominciato a lavorare nelle stesse organizzazioni che poi si sono trovati a dirigere. La questione dunque, non riguarda tanto il numero dei dirigenti, quanto la capacità a mantenere intatto il grado di motivazione del gruppo dirigenziale e seguirne il ricambio generazionale .

SJ: Non è anche  un problema di nuove competenze?

Menetti: E’ chiaro che la capacità di progettare, di fare rete, d’incidere sulla realtà in cui lavoriamo, di costruire relazioni, richiede una maggiore e più complessa capacità dei gruppi dirigenti: in particolare quella di entrare in relazione con altri soggetti economici e sociali.

SJ: Cosa intende in particolare per capacità di entrare in relazione…

Menetti: Le faccio un esempio. Non c’è dubbio che lo sviluppo di una rete di servizi radicati su un territorio mette in gioco modalità nuove di mettere in relazione bisogni e risposte, domanda e offerta, sia rispetto agli ambiti propriamente economici che rispetto ai profili di qualità ed appropriatezza.  Questo implica, nell’ottica partecipativa che ci appartiene, capacità di relazionarsi ai soggetti  pubblici, in primo luogo, ma anche ai diversi soggetti sociali ed economici con i quali è possibile costruire assieme sia conoscenza e lettura dei bisogni che progettazione e realizzazione delle risposte. Così anche il tema legato al rapporto con il mondo della ricerca e dell’università, va in questa direzione. Essere aperti alla realtà che ci circonda, rappresenta, dunque, un obiettivo funzionale al mantenimento della vocazione all’innovazione sociale che ha caratterizzato l’ esperienza della cooperazione sociale.

SJ: Il cambiamento del welfare è un tema che tocca da vicino la cooperazione sociale. Che sollecitazioni usciranno dal congresso?

Menetti: Nell’ultimo anno si è rischiato di parlare in concreto di welfare solo in riferimento alle sanatorie e alle badanti. Invece la questione vera è promuovere un sistema orientato alla persona; un sistema che non può essere solo affermato: il problema è come lo si infrastruttura e lo si sostiene. Altro ambito importante è quello che ha che fare con le politiche di coesione sociale, ad esempio in tema di politiche lavorative, per evitare che chi viene espulso oggi non si trovi ad essere fuori in maniera definitiva. Ovviamente, non si tratta solo di difendere l’esistente, ma è importante promuovere un confronto per aggiornare gli strumenti di inclusione e perseguire obiettivi di coesione sociale.

SJ: E voi che idee portate?

Menetti: Pensiamo di poter avere un ruolo importante, di poter cioè dare un contributo importante, in molti degli ambiti del welfare. Indichiamo alcune priorità: nel campo del welfare sanitario, per esempio, oggi la non autosufficienza non trova più risposte adeguate: quelle classiche garantite dall’ospedale e dal medico di famiglia non sono più sufficienti, non reggono più. Bisogna pensare, allora, come sviluppare sui territori una risposta che promuova una sanità, ed un sociale,  più vicina ai bisogni delle persone, che non sono scissi, ma sono insieme sociali e sanitari. L’interesse alle nuove forme di organizzazione dei servizi di medicina primaria vanno in questa direzione, e peraltro, da cooperatori,  crediamo  sia importante che si sviluppi cooperazione anche in settori non tradizionali, ad esempio nella medicina di base. Poi  vogliamo  promuovere una più forte integrazione con altri settori cooperativi, per “dare valore” ad una competenza e ad una esperienza specifica della cooperazione, quella di operare in forma imprenditoriale, partecipata e qualificata, sia sul versante dell’organizzazione della domanda che dell’offerta.ì Vogliamo poi sottolineare il ruolo della cooperazione di inserimento lavorativo, anche rispetto ai percorsi legislativi che riteniamo utili a sostenerlo e svilupparlo

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