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L’escalation delle torture

di Redazione

In Siria è guerra civile. «Ma basta posizioni ideologiche, non facciamola diventare una nuova Bosnia: non ripetiamo l’errore di pensare che “sono tutti cattivi”, i primi responsabili di quanto sta accadendo sono le forze governative di Bashar al-Assad». È netto nel suo giudizio Riccardo Noury, direttore Comunicazione della sezione italiana di Amnesty International, nel denunciare la sistematica violazione dei diritti umani nel Paese mediorientale. «Abbiamo decine di attivisti, affidabili e coraggiosi, che ogni giorno ci riportano quello che succede mettendo a rischio la propria vita», spiega Noury. Sono questi giovani, «avvocati ed ex prigionieri di guerra, tra gli altri», ad aver aiutato Amnesty a stilare un duro rapporto-denuncia delle torture che si stanno praticando nelle carceri governative per reprimere il dissenso. «Abbiamo contato ben 31 metodi di tortura diversi, molti abominevoli e ripresi da quelli che la Siria già praticava negli anni della guerra del Golfo, quando era nell’alleanza internazionale contro Saddam Hussein».
I segni dei soprusi sono visibili sulle centinaia di persone in fuga che Amnesty ha potuto intervistare appena fuori dai confini siriani: «Da marzo 2011 a oggi almeno 260 persone sono morte sotto tortura, mentre prima che iniziassero i disordini ne morivano cinque all’anno», riporta Noury. Violenza a senso unico? «Chiaro che no, sono finiti i tempi dei fiori nei cannoni, oggi la rivolta è anch’essa armata, ma non si può pretendere un pareggio di responsabilità», ribadisce.
«La Russia mette il veto all’Onu perché è il maggior fornitore di armi siriano e perché ha in Siria la sua unica base militare mediorientale?», si chiede Noury. La situazione è intollerabile, «ma qualcosa si può fare da subito: obbligare al-Assad a fermare l’offensiva e accettare un corridoio umanitario, chiedere ai Paesi confinanti di aprire in toto le frontiere». E un intervento armato? «Non è la soluzione, e per l’Onu è un’ammissione di sconfitta. Ma nel frattempo non sta facendo niente, anzi considera ancora il regime attuale quello che dà maggiori garanzie per il futuro, nonostante i 6.700 civili morti in un anno», sottolinea Noury. Com’è possibile? «Meglio un nemico che conosci, piuttosto che uno ignoto».