Non profit
L’esenzione Iva distingue tra poveri e poverissimi
Le Entrate si pronunciano sull'assistenza ai clochard
di Redazione
Rispondendo ad un interpello, l’Agenzia delle Entrate afferma l’esenzione Iva dei corrispettivi da prestazioni socio-sanitarie rese a fissa dimora solo se l’utente è, contemporaneamente, migrante, senza fissa dimora e richiedente asilo. Una posizione senza dubbio ambigua, che lascia aperta una domanda: se l’Iva è un’imposta applicata a beni o servizi, perché a fronte di una prestazione di servizi identica se è resa da un soggetto può essere esente e se lo è da un altro no?Non c’è che dire: le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate sono sempre più sorprendenti, soprattutto se riguardano enti non profit o di prestazioni che dovrebbero essere esenti perché di elevato contenuto sociale.
Così è successo con la risoluzione 26/08/2009 n. 238/E dove, in estrema sintesi, l’Agenzia delle Entrate sostiene che le prestazioni socio-assistenziali sono esenti da Iva solo se rivolte a soggetti che sono migranti nonché senza fissa dimora, nonché richiedenti asilo. In altri termini le tre condizioni devono tutte coesistere in capo al soggetto fruitore.
Il richiamo all’Europa
L’Agenzia riconduce la propria tesi alla direttiva Cee n. 2006/112/CE dove, all’art. 132, lettera g), se ne troverebbe la giustificazione. In realtà, nel punto specifico della direttiva, si legge che sono esenti le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale; nella direttiva pertanto si parla di prestazioni di servizi che hanno carattere sociale, dei soggetti che erogano tali prestazioni ma non delle caratteristiche dei soggetti che ne possono usufruire.C’è un ulteriore aspetto contraddittorio nella risoluzione 238/E. Si tratta dell’evidente contraddizione che si riscontra quando si legge l’art. 10, comma 2, dlgs 460/97 dove si afferma che si perseguono finalità di solidarietà sociale quando le attività sono dirette ad arrecare benefici a:
? persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari;
? componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari.
A parere di chi scrive, una prestazione socio-sanitaria svolta nei confronti di un clochard senza che questo sia né un migrante né un richiedente asilo, ha incontrovertibilmente la caratteristica di «solidarietà sociale» (dlgs 460/97) o, meglio ancora, «carattere sociale» così come previsto dalla direttiva Cee n. 2006/112/CE. Allo stesso modo, la prestazione socio-sanitaria resa ad un migrante o a un richiedente asilo, proprio per la condizione in cui versa il soggetto che la riceve, non si può dire che non abbia un carattere sociale.
Significato ambiguo
È perciò evidente che l’estensore dell’integrazione dell’art. 10, numero 27-ter, dpr 633/72, sia stato poco accorto nella formulazione della frase in quanto, se realmente avesse voluto ricondurre tutte e tre le qualifiche a un’unica categoria di persone, avrebbe dovuto inserire la congiunzione «e» tra «senza fissa dimora» e «richiedente asilo». La lettura della frase nella sua attuale formulazione ha un significato ambiguo. Dal punto di vista pratico la risoluzione non porta grandi novità: il soggetto che ha posto il quesito è un’associazione di categoria o un consorzio di imprese, che presumibilmente sono cooperative sociali che possono optare per l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4% ai sensi del numero 41-bis della Tabella A, parte II.In realtà, la vera stranezza del nostro ordinamento è questa: se l’Iva è un’imposta che si applica ai consumi e perciò a beni o servizi, perché mai a fronte di una prestazione di servizi intrinsecamente identica, se è resa da un soggetto può essere esente e se lo è da un altro è soggetta all’imposta?
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