Non profit

L’inno di Van de Sfroos,bevviva la macedonia

Melting pot music Aldo Bonomi racconta l'ultimo album del cantautore

di Redazione

Con le sue storie e canzoni ci racconta di un mondo dove si perdono le identità. Ma invece di indurci alla chiusura, ci dimostra le bellezza del melting pot H o conosciuto Davide Van de Sfroos facendo zapping notturno. Trasmettevano su Rai 2 uno concerto di uno strano (per me) cantautore. In dialetto lombardo scorrevano sullo schermo immagini e suoni della “balera”. Mi incuriosii. Acquistai il suo cd e capii che quelle parole e musica di un laghée che aveva preso come nome d’arte l’andare di nascosto dei contrabbandieri, del suo lago di confine in val Solda, uguale al nostro andare dal lago di Poschiavo a Tirano, rivelavano un cantastorie, un costruttore di un luogo del racconto dei nostri luoghi. Del nostro territorio attraversato dai grandi cambiamenti del nuovo che avanza trasformando e plasmando l’antico. Scrissi allora un breve pezzo sul Corriere della Sera . In cui da scrittore di storie dei cambiamenti sociali facevo notare che quel giovane cantautore, che tutti davano come esegeta della Lega perché cantava in lumbard, aveva una capacità di interpretare i mutamenti antropologici in atto nelle aree ai margini dell’epicentro metropolitano che i cantautori della mia generazione arrabbiata avevano perso.
Le sue canzoni erano piene di figure dei nostri paesi, gli ultimi sopravvissuti in un mondo in lento declino. Tristi, fragili attori di un palcoscenico fatto di balere. Di bar di paese, di pesca sul lago, di contrabbando, di corrieri che risalgono i tornanti, di piccoli devianti e matti di paese. Tutti raccontati e accompagnati come ultimi figuranti di un mondo che non c’è più. Il paese appunto. La comunità originaria per ognuno di noi, laghée o valtellinese che sia. Quelle figure sfumano ormai solo nel racconto degli anziani. Nella loro storia orale piena anche di diavoli, folletti e storie di luoghi stregati e incantati. In altre tradizioni quelle storie di comunità sono patrimonio degli sciamani. Figura idealtipica evocata da Davide quando, come uno di loro, si solleva dal suo lago sino a sorvolare Tresenda ed arrivare a Frontale. Dove, atterrato, ha raccontato la storia del minatore che dà il nome al suo ultimo album: Pica! (vincitore della Targa Tenco).
Ma non solo di storie del passato racconta Davide. Sono ipermoderni i lavoratori dei servizi che sudano e corrono lungo le scale del Grand Hotel, i “cauboi” che van giù a Milan. La valle dei telefoni ove crescono i semafori e ci si confessa nei citofoni. Per tante immagini poetiche del dramma dell’anomia metropolitana dove i giovani falchetti del lago e delle valli scendono il sabato a cercare quello che vedono in televisione, così come vanno a Lugano al casinò per sentirsi “in”. Verso un mondo che viene avanti ove loro si sentono sempre un po’ “fuori”. Come è un sentirsi un po’ dentro e un po’ fuori il fare contrabbando attraversando la frontiera o il lavoro transfrontaliero che è sempre un po’ di là e un po’ di qua.
L’Espresso scrisse allora che avevo sdoganato a sinistra Davide Van de Sfroos. Come se anche alla poesia e al racconto si potessero applicare categorie politologiche. Tendenza di un mondo ove più si perdono appartenenze ed identità, più si tende a darle inventate e posticce. Basta leggere i suoi testi e ascoltare la sua musica per capire. L’arte del racconto è per sua natura prepolitica, quando il racconto scava nella realtà. È postpolitica leggera ed evanescente quando simula la realtà come all’ Isola dei famosi o nelle fiction all’italiana che raccontano la famiglia Cesaroni che non esiste nella realtà. La canzone di Davide è una canzone vera che scava nel nostro vivere. Per questo sere fa mi sono confrontato con lui su un tema difficile e delicato come quello della nostra identità. Ognuno con il suo linguaggio. Mentre io citavo Levinas, il filosofo del 900 che ha scritto che l’identità non sta nel soggetto ma nella relazione, il filosofo Van de Sfroos mi ha dato una definizione folgorante. Che capiscono anche i bambini, con cui lui ha dialogato nelle scuole. In tempi di globalizzazione, sostiene Davide, di ogni singola identità se ne può fare un frappè ove ogni singolarità si diluisce in un tutto indistinto. Oppure una macedonia, dove ogni pezzo conserva la sua specificità contribuendo perciò a fare il tutto.
Per Davide Van de Sfroos e Levinas la coppa della macedonia è fatta di relazioni. Meno male, in tempi in cui molti ci invitano a rimanere nel nostro spicchio e nel nostro spaccato identitario locale rifiutando ciò che viene da fuori. Lo straniero, l’immigrato, il diverso da noi che ci invita a fare la macedonia. Quello che in sociologia si chiama melting pot o la pluridentità. Proprio quelle che sono cantate da Davide. Che parte dalla sua Mezzegra in mezzo al lago, guarda su verso la Valtellina, giù verso la Brianza e Lugano e poi più giù giù verso Milano per poi andare nel mondo alla ricerca dei segni e dei suoni nelle tradizioni sarde, salentine, zingare sino ad arrivare a New Orleans. Grazie Davide per insegnarci ogni giorno, con le tue canzoni, a fare una buona macedonia.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.