Non profit

L’Italia, cenerentolabdella finanza etica

rapporto 2008 Vigeo ha reso i noti i dati europei

di Redazione

Siamo l’unico Paese che nel 2008 ha visto diminuire i suoi veicoli di investimento a carattere Sri, passati da 29 a 21. «Gli investitori istituzionali sono ancora troppo diffidenti», spiega Marianna Benatti
L ‘ Italia ingrana la retromarcia. E veste la maglia nera dell’investimento etico europeo. Lo dice l’ultimo rapporto Vigeo sui trend del settore. Nel tour de force della finanza sostenibile, che invece guadagna posizioni (+23% di veicoli Sri) a dispetto della crisi dei mercati, il Belpaese finisce in fondo alla classifica. Davanti solo alla Spagna e ben lontano da Belgio e Francia (105 fondi etici attivi), Regno Unito (86), Svezia (57), Svizzera (51), Germania (39), Austria (24), Olanda (22), l’Italia è l’unico Paese che nel 2008 ha visto diminuire i suoi veicoli di investimento a carattere Sri, passati da 29 a 21. Colpa di un’industria del risparmio gestito in frantumi, più di 160 miliardi di riscatti negli ultimi 18 mesi, e a causa delle fusioni bancarie (Unicredit – Capitalia, Intesa e Sanpaolo) che hanno prodotto l’accorpamento dell’asset management, tagliando qua e là i rami secchi del comparto. Ma non solo.
«Nel nostro Paese», dice Marianna Benatti del Forum per la finanza sostenibile. «Gli investitori istituzionali sono ancora diffidenti. In Italia succede l’esatto contrario di quanto avviene nel resto d’Europa. È il mercato retail, quello fatto dei singoli risparmiatori che chiedono finanza etica, mentre i grandi investitori ne stanno alla larga».
Con qualche rara eccezione. Dopo la svolta di Fondazione Cariplo, che ha affidato a screening etici l’orientamento del suo patrimonio per un valore di 9 miliardi, anche Generali ha imboccato la strada della sostenibilità. Con una scelta «soft, ma significativa», utilizzando la bussola Sri già sperimentata dal fondo sovrano norvegese per gli investimenti dei suoi asset.
E intanto il gap con l’Europa si allarga. A giugno 2008 nel Vecchio continente circolavano 537 fondi di investimento sostenibile, crescendo del 23%, la percentuale più alta dal 2001. Nell’anno dei subprime e della bolla derivati, i fondi etici crescono in Belgio del 66%, in Svizzera e Germania del 30. Nonostante l’euforia per nuovi prodotti, gli asset rimangono stabili, intorno a 48 miliardi di euro, incrementando però la quota Sri sul totale investito, dallo 0,75% del 2007 allo 0,87 di oggi. Briciole di mercato nel complesso, ma considerevoli in alcuni Paesi, il 6,38% in Belgio, in Svizzera il 4,42 e in Olanda il 3,48, mentre in Italia il contatore resta fermo allo 0,8%. La sorpresa arriva dalla tipologia di investimento. L’azionario tiene una quota del 62% sul totale dell’investimento etico.
Un premio di consolazione per gli investitori italiani arriva dallo spessore medio degli asset, pari a 126 milioni di euro, dietro solo alla Svizzera (137 milioni), e davanti alla media europea, di 91 milioni di euro. Tra i primi dieci fondi per massa gestita, tiene in alto il gonfalone tricolore il fondo Pioneer Funds Global Ecology (Unicredit), quarto in classifica con 1,1 miliardi di massa gestita.
Sul fronte performance c’è poco da stare allegri, ma qualche fondo è riuscito nel colpaccio. Come i francesi di Natexis (Nord Sud Developpement) che hanno strappato alla crisi dei mercati una redditività del 5,5%, così come i colleghi di Muta Vie, con le obbligazioni Developpement Durable che hanno reso in un anno il 5,4%. A scrutare invece i portafogli si scopre che il titolo più gettonato in Europa è Vodafone, seguito dagli energetici BgGroup Suez, Vestas, Veolia, Total, i finanziari Hsbc e Allianz.

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