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L’Italia cerca casa

di Redazione

L ‘ avventura inizia di fronte a grossi punti interrogativi, stampati su un pannello gigante: «Come possiamo creare un’architettura che ci faccia sentire a “casa”? Che usi le risorse del territorio con saggezza? Che ci aiuti a relazionarci tra noi e con il mondo?». È la sfida lanciata da Aaron Betsky , direttore dell’XI Biennale di architettura di Venezia, a tutti, grandi architetti e donne e uomini in cerca di casa. Una sfida stimolante, curiosa, inaspettata. Scopriamo che l’architettura non è il “costruire” e gli edifici sono quel che resta del desiderio di vivere in un altro mondo, migliore e aperto a possibilità diverse dalle strutture che siamo costretti ad abitare.

Si può fare?
Il padiglione italiano presenta dodici soluzioni per rispondere al disagio abitativo. Giovanni Caudo , nel saggio Dalla casa all’abitare (in catalogo), dà le dimensioni del fenomeno: «Il 70,5% delle famiglie in affitto oggi paga canoni di libero mercato, aumentati a dismisura negli ultimi dieci anni, in media del 49%, ma a Venezia del 139% e a Roma del 91%. La media dei valori immobiliari tra il 2001 e il 2004, solo nelle città capoluogo, ha registrato una crescita del 40%». La gente non trova casa e il numero di alloggi costruiti è aumentato da 159mila nel 2000 a 343.770 nel 2007. La soluzione del paradosso, per Caudo è la “casa possibile” ( di cui parla nell’intervista a fianco ). A chi è troppo ricco per la casa sociale, ma non abbastanza per il libero mercato, non servono nuove case, ma case diverse.

La casa essenziale
È la proposta di Luca Emanueli . «Una delle principali cause dell’omogeneità dell’offerta di case in Italia è la rigidità della normativa edilizia», leggiamo nel progetto. «La norma, da strumento per garantire standard qualitativi, è diventata limite alla ricerca architettonica».
La riflessione si allarga grazie anche a Franco Rotelli , psichiatra che condivise con Basaglia l’esperienza dell’apertura del manicomio di Trieste: «Bisogna saper cogliere il limite tra ciò che la regola impone e ciò che consente. Con i matti impari a lavorare sul limite di ciò che non comprendi e vorresti comprendere». Lo studio di Emanueli propone tre progetti di casa essenziale, per residenze universitarie a Bologna, Rimini e Reggio Emilia. Nascono in strutture preesistenti, come l’ex macello di Rimini, hanno dimensioni ridotte, gli ambienti non hanno destinazione d’uso definita e parti della casa escono dalla dimensione privata. Ospiteranno studenti, tirocinanti e ricercatori, o chi, dopo la formazione, ha bisogno di una sistemazione temporanea a prezzi ragionevoli (www.lucaemanueli.net).

Scheletri urbani
Parte da un grande scarto edilizio l’idea dello Studio Albori di Milano: L’ecomostro addomesticato . È lo scheletro di ciò che doveva diventare parte della stazione ferroviaria di San Cristoforo. Potrebbe trasformarsi in un aggregato di varie abitazioni, dal canone sociale alla residenza in vendita libera, accanto a laboratori, un asilo, un bar-trattoria, un ostello… Così si evitano quartieri dormitorio. Il progetto ruota attorno all’idea di riciclo: si usa lo scheletro edilizio in ogni sua parte, costruendo con materiali di scarto. Sobrietà anche per i posti auto: diventano spazi per le biciclette, nell’ottica di un diverso stile di vita (www.albori.it).

Savorengo Ker
È la casa di tutti e di nessuno, in lingua romanì. Economica, ecologica, autocostruibile, personalizzabile, smontabile, flessibile. Il gruppo Stalker Osservatorio Nomade, con l’università di RomaTre, ha realizzato con i rom del campo Casilino 900 una casa in legno di 70 metri quadrati, inaugurata il 28 luglio scorso. Savorengo Ker non è un modello da clonare, ma un metodo di lavoro, per costruire case di tipi diversi. È un tentativo di riscattare il degrado in un insediamento sostenibile. Con i rom, si potrebbero riscoprire alcuni tratti del costruire delle società preindustriali: il risparmio energetico, il recupero e riciclo dei materiali, la concezione solidale dello spazio per la famiglia allargata (www.osservatorionomade.net).

Case come abiti
L’idea di creare «case come abiti, da cucire addosso ai propri abitanti», è comune alle proposte nel padiglione italiano. Salottobuono di Venezia cerca di farlo per il complesso Del Favero, nel quartiere Sant’Elia di Cagliari, nato alla fine degli anni 70 e pensato appunto per «una massa omogenea a cui dare una casa». L’interrogativo è come far convivere il vecchio con il nuovo. La risposta non sembra così chiara, tranne che si riqualificano gli spazi comuni, oggi degradati e inospitali (www.salottobuono.net). Mario Cucinella , di Bologna, ci riporta sulla terra: propone una casa di 100 metri quadri a 100mila euro e a zero emissioni di CO2. Il progetto è in collaborazione con Legambiente, Fondazione Symbola e Italcementi (www.mcarchitectsgate.it).

Stravaganze, risposte e dubbi
Stefano Testa e Luca Poncellini di Cliostraat pensano a chi vorrebbe allontanarsi dalla città per «ri-abitare le Alpi». Le case sono pronte, da calare sul territorio con un elicottero, come navicelle spaziali energicamente autosufficienti, fatte di materiali di riciclo, personalizzabili all’interno. Secondo loro, tale soluzione consentirebbe una vita di qualità, lontano dallo stress, a contatto con la natura? Ma che c’azzeccano le Alpi e le astronavi? (www.cliostraat.com). C’è chi si spinge oltre come la Casa madre. Spiega Andrea Branzi : «Il riferimento è alle metropoli indiane, attraversate dal traffico, ma anche dalle vacche sacre, dagli avvoltoi che divorano i cadaveri dei nobili Parsi, dai cammelli, dagli elefanti e dalle scimmie; mentre i televisori, decorati come piccoli altari, trasmettono i sacri miti dei Veda».
Dal padiglione si esce con alcune risposte, molti dubbi, spunti di riflessione sulla questione vitale dell’abitare che, come dice Caudo, «è come un settimo senso, come vedere, udire: fa parte dell’essere. Perdere il lavoro è grave, ma perdere la casa lo è molto di più, ci si sente poveri».

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