Mondo

Lo Stato è ai minimi termini, le ong si rifanno la vita

Un passaggio cruciale: forum tra le organizzazioni in redazione a Vita

di Redazione

È una ripartenza. Si cercano nuove strade. Molte organizzazioni non hanno più soldi pubblici in bilancio.
C’è un nuovo attivismo radicato nel territorio. E poi si aprono anche fronti italiani, come Rosarno e via Padova. Ecco come sta cambiando
la cooperazione
Il Sud del mondo che vive in Italia le interroga sempre di più: dalle periferie delle città latinoamericane o africane ritornano a Milano per lavorare in via Padova, si occupano dei fatti di Rosarno e del pacchetto Sicurezza. Stanno allargando le reti ad altre realtà del non profit e cercano alleanze con il profit, mentre il rapporto con le istituzioni a livello nazionale si fa sempre più labile: il ministero degli Affari esteri (Mae), annunciano, ha smesso di essere un punto di riferimento imprescindibile. È la fotografia delle organizzazioni non governative emersa dal Forum sulla cooperazione internazionale organizzato presso la redazione di Vita. A spiegare come un pezzo del terzo settore in Italia sta cambiando sono alcune fra le più importanti ong che hanno sede nel nostro Paese, dalle internazionali come Amnesty, ActionAid e Save the Children a ong “made in Italy” come Cesvi, Coopi, Acra e Intervita.
In Italia è “requiem o ripartenza” della cooperazione internazionale? Entrambe le cose, rispondono in coro le ong. C’è una parte che muore e un’altra che vive e cerca nuove strade. La prima l’ha raccontata il rapporto appena uscito di One, l’organizzazione guidata dal leader degli U2 Bono e da Bob Gheldof: l’Italia, ha detto senza mezzi termini, deve uscire dal G7 perché non adempie i suoi impegni nei confronti dei Paesi poveri. I capi di Stato, nel 2005, decisero di raddoppiare gli aiuti, portandoli a 50 miliardi di dollari l’anno. Se nel 2009 la Gran Bretagna, a dispetto della crisi, è riuscita a garantire il 93% della somma pattuita e gli Usa sono andati persino oltre (150%), il nostro Paese ha addirittura ridotto il budget del 6% (vale a dire meno 283 milioni di euro).
«La parte meno interessante del nostro lavoro in questo momento è il rapporto con il Mae», afferma Giangi Milesi, presidente di Cesvi. «Vediamo una cooperazione italiana in agonia, con sempre meno risorse e capacità di interloquire il non profit, ma d’altra parte assistiamo anche a un nuovo attivismo radicato sul territorio. Bisogna ricordare che a fare cooperazione internazionale in Italia non sono solo le 250 ong considerate “idonee” dal Mae e la decina di grandi organizzazioni internazionali del calibro di Medici senza frontiere. Ci sono 10mila associazioni e gruppi sparsi per la penisola che intessono relazioni, promuovono progetti in altri Paesi del mondo, dalle onlus alle parrocchie, si tratta di realtà più o meno strutturate che operano e fanno sensibilizzazione». Gli fa eco il direttore del Coopi, Ennio Miccoli che auspica un maggiore senso di responsabilità verso gli impegni internazionali: «È necessario che le ong italiane escano da quella sorta di “provincialismo” da cui sono caratterizzate per sviluppare una maggiore sinergia con quelle internazionali e le società civili del Sud del mondo».
«Allargare le reti e le alleanze» è il percorso da intraprendere secondo ActionAid International, ed è significativo che l’input provenga da un’organizzazione che potrebbe “far da sé” con i suoi 140mila sostenitori solo in Italia e 46 milioni di donazioni raccolte lo scorso anno, per la maggior parte da privati. «Quello delle ong non può più essere un mondo chiuso», afferma Marco De Ponte, segretario generale dell’organizzazione. «Sentiamo il bisogno di interagire in network più ampi del non profit che agiscono sulla società italiana, come il Forum del terzo settore, e ci stiamo muovendo verso questa direzione». Le ong italiane sono sempre più in contatto con le altre ong europee, con le quali si scambiano esperienze e promuovono campagne di sensibilizzazione e advocacy nei confronti dei governi, all’interno di network comuni come Concord, confederazione di ong europea di cooperazione allo sviluppo. Un segnale di cambiamento negli ultimi anni è stata la nascita di nuovi raggruppamenti anche a livello nazionale: il caso più importante è quello di Agire, l’Agenzia italiana risposta alle emergenze, network di 11 organizzazioni che hanno unito le forze per rispondere in modo tempestivo alle gravi emergenze umanitarie, l’ultima quella del terremoto ad Haiti.
Luca de Fraia oggi è responsabile della policy di ActionAid International ma nell’anno del Giubileo fu il coordinatore della Campagna italiana per la cancellazione del debito dei Paesi poveri che riuscì a ottenere dal nostro governo una legge avanzata in proposito, la 209 del 2000. «Le ong hanno bisogno di ritrovare se stesse e la loro mission in un contesto dove i paradigmi sono cambiati», afferma. «In occasione della Campagna per la cancellazione del debito ci fu una grande convergenza su una battaglia comune contro un “giogo iniquo” messo sopra le spalle dei Paesi più poveri. In Italia le Chiese cristiane e il Vaticano furono in prima linea insieme a ong laiche, associazioni e cittadini e così avvenne anche in Europa e Africa: tutti si collegarono alla campagna internazionale Jubilee2000. Da allora non c’è più stata una mobilitazione di queste proporzioni, con un obiettivo da raggiungere in modo corale e insieme alla società civile del Sud del mondo».
«Una cooperazione internazionale che si costruisce solo disegnando il nemico e che si limita a chiedere più aiuti è senza sbocchi», afferma Patrizia Canova, responsabile della comunicazione e della raccolta fondi per l’ong milanese Acra. «Vanno benissimo la campagna per il 5 per mille e per le tariffe postali, sono cose utili per lavorare meglio. Ma dobbiamo aver chiaro soprattutto cosa abbiamo da dire, la società che vogliamo narrare». A livello internazionale, Acra aderisce alla campagna 350.org che tiene alta l’attenzione sui cambiamenti climatici e alla Global campaign for education che si batte perché il diritto all’istruzione sia garantito a tutti, e fa parte di I-Day, una rete di organizzazioni delle società civili africane ed europee che sono individualmente impegnate in progetti educativi in Africa. «Ci sono temi “caldi” di cui la società civile si sta occupando sia nel Nord che nel Sud del mondo: la sovranità alimentare, l’accesso all’acqua, il social business, il rapporto fra profit e non profit», afferma Canova. «Acra è una ong che sviluppa progetti di cooperazione in America Latina e Africa ma da qualche anno ci siamo resi conto che non possiamo più ignorare le diaspore africane o latinoamericane in Italia». Una sfida per le ong è «lavorare sempre di più sul nesso fra agenda esterna e interna», spiega Marco De Ponte. Insomma, le ong che conoscono i problemi dei Paesi d’origine delle persone immigrate in Italia hanno un ruolo da giocare. Ci sta provando Intervita a Milano: «Abbiamo partecipato di recente alle iniziative per animare e valorizzare via Padova», afferma il presidente Marco Chiesara. «Il nostro lavoro si è concentrato sulle scuole, quelle multietniche dove il 70% degli alunni proviene da un altro Paese. È stato commovente aiutare questi ragazzi a raccontare le loro storie ai compagni italiani e ci siamo accorti del contributo educativo e culturale che anche noi possiamo dare». Che il radicamento sul territorio, anche in Italia, sia una strada feconda lo dimostra il successo della cooperazione decentrata, che «non si traduce solo nel promuovere progetti nel Sud del mondo in collaborazione con enti locali e Regioni italiane», precisa Chiesara. «Fare cooperazione decentrata significa lavorare con le scuole, le università, le associazioni di immigrati sul campo». Il Sud del mondo è qui. È a Rosarno e in via Padova. Molto è cambiato dagli anni 80, quando le ong hanno cominciato a esistere: impossibile ignorarlo.

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