Non profit

L’ora della rivincitabper la banca “lenta”

credito cooperativo Una cassaforte che contiene il 20% dei risparmi europei

di Redazione

«Il culto del breve termine ha portato al grande crollo. Noi abbiamo messo al centro risparmiatori e territorio e non la creazione di valore per gli azionisti. Sembrava un assurdo economico, ma si è rivelato un modello vincente». E oggi, secondo Alessandro Azzi, costituisce un modello anche per i big bruciati
dalla grande crisi
L unedì 6 ottobre UniCredit lancia un piano di ricapitalizzazione da 6,6 miliardi di euro. Un argine che però non protegge il più grande istituto italiano dalla valanga. A fine giornata tutti i titoli bancari del pianeta franano disordinatamente polverizzando pure i listini: un’ondata di “panic selling” che brucia in poche ore 1.700 miliardi di capitalizzazione, 440 soltanto in Europa. Stesso giorno, rue Beillard a Bruxelles, a due passi dall’edificio che ospita gli atterriti commissari europei, si parla di «Finanza verde e responsabilità sociale». I relatori non sono ribelli anti G8 o ambientalisti arrabbiati, ma banchieri. Italiani, francesi, austriaci, olandesi: sono i rappresentanti del credito cooperativo europeo. Mercoledì 15 ottobre, gli Stati Uniti sono ufficialmente in recessione. Lo rivela la Federal Reserve annunciando crescita zero per il terzo trimestre 2008. I piani di salvataggio, che hanno fatto brindare le Borse per qualche giorno, non salveranno l’economia mondiale da una brusca frenata. Lo stesso pomeriggio, le otto banche cooperative che formano Unico Banking Group (Iccrea Holding, Dz Bank, Crédit Agricole, Pohjola, Rzb, Rabobank, Banco cooperativo español, Raiffeisen Schweiz) firmano un accordo di fiducia. Un patto anticrisi che vale circa 15 miliardi di euro, il tetto massimo che le banche potranno scambiarsi sul mercato interbancario qualora si presentassero problemi di liquidità.
Bastano due giorni, presi nell’arco di una settimana, per raccontare il credito cooperativo europeo, un mondo quasi sconosciuto dalla ricerca economica – solo l’1% degli studi bancari sono dedicati a questo modello di banca – ma che vale più del 20% dei risparmi degli europei e sembra uscire indenne dalla grandi crisi finanziaria. Piccole e medie cassaforti, ma ci sono anche i giganti come Crédit Agricole, anche se nella sua forma spa ha perso molto del suo dna cooperativo, che la bufera dei mercati la leggono soltanto sui giornali. I problemi non mancano. La stretta del credito colpisce tutti e rende più salato il costo del denaro, da qui la decisione di darsi fiducia tra banche coop. Il passaggio non è da poco, proprio quando tutte le banche non fidano più e non si prestano più denaro. E non si tratta solo di buona volontà. L’agenzia di rating Fitch assegna al 96% delle banche cooperative una valutazione A+.
È la piccola, grande rivincita, e insieme salvagente per i territori, della banca mutualistica, che distribuisce l’utile a riserva, facendo lievitare il patrimonio a protezione delle emergenze, pigiando l’acceleratore della sostenibilità. Buone banche, ma non esenti da critiche. Il Fondo monetario internazionale, in un suo studio, le promuove in quanto stabilizzatrici del sistema, ma intravede anche il rischio di autoreferenzialità dei piccoli istituti, microprateria ad uso e consumo dei padroncini di provincia. «Lo statuto cooperativo», spiega Gian Paolo Barbetta , docente di Politica economica all’università Cattolica di Milano, «facilita l’esercizio di responsabilità sociale d’impresa, ma spesso il prezzo da pagare è l’efficienza. Le Bcc hanno risolto il problema creando un sistema di banche di secondo livello, come Iccrea Holding. Non credo però che un modello, quello commerciale o quello cooperativo, prevarrà sull’altro. Continueranno a viaggiare su binari diversi. E non necessariamente uno sarà più forte dell’altro in campo della Csr».

Un tempo diverso
Oggi però le banche commerciali annaspano e il credito cooperativo cresce. Uno sviluppo raccontato dai bilanci: le Bcc italiane viaggiano su Capital tier 1, rapporto patrimonio /attivi, la solidità di una banca, che si aggira intorno al 15,6% contro il 7% di media delle altre banche. Un piccolo record in Europa, ma gli altri cugini del credito cooperativo non sfigurano: gli olandesi di Rabobank vantano l’11%, i finlandesi Pohjola Bank il 13,8%, gli spagnoli di Caja Rural il 12,6%. Patrimoni a prova d’assedio, ma non solo. Il risparmio raccolto dagli istituti cooperativi è impegnato integralmente, intorno a quote dell’80/90%, alla finanza di prossimità, credito alle famiglie, alle piccole imprese. Lo spazio per gli investimenti è quindi ridotto. La crescita che ne segue è modesta, non sempre a doppia cifra e gli indici di redditività sono (erano?) la metà della banche commerciali, ma costante nel tempo.
«La crisi finanziaria ci lascia alcuni insegnamenti importanti», ha ricordato Alessandro Azzi , presidente di Federcasse, nel corso del convegno studio delle Bcc lombarde a Madrid. «Intanto la debolezza della tesi che secondo cui l’impresa creditizia deve creare valore soltanto per gli azionisti. La banca ha invece una pluralità di portatori di interesse, a cominciare dai risparmiatori, a cui è chiamata a rispondere. Invece nella mitizzazione della creazione del valore per l’azionista si nascondono palesi inside: la più clamorosa è l’idolatria del breve termine. Il credito cooperativo, un tempo considerato quasi come un assurdo economico, coglie oggi la sua rivincita, nell’affermazione della logica della sostenibilità, della finanza vera, quella che serve, utile e non autoreferenziale». Gli ha fatto eco Pietro Modiano , direttore generale di Intesa Sanpaolo e alla guida della Banca dei territori del gruppo. «Dobbiamo tornare all’economia reale. Il modello di banca d’affari è andato distrutto ma anche la banca tradizionale deve ripensarsi. La crisi ci lascia la nuova centralità del retail, del risparmio, dei depositi, una banca tradizionale certo più difficile, alle prese con equilibri di bilanci più complessi, più capitale, più riserve di liquidità. Vincerà chi riesce da piccolo ad avere le virtù dei grandi e viceversa».

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