Politica internazionale
Dopo 19 mesi di bombardamenti: l’Ue pronta a rivedere l’accordo con Israele
La Commissione rivedrà l’accordo internazionale che lega Bruxelles e Tel Aviv, che all’articolo 2 fa dipendere ogni relazione tra le parti al rispetto dei diritti umani

Dopo 592 giorni di guerra a Gaza e oltre cinquantamila morti, l’Unione europea si muove nei confronti di Israele. Di concerto con il Servizio europeo per l’azione esterna – Seae, la Commissione rivedrà l’accordo internazionale che lega Bruxelles e Tel Aviv, che all’articolo 2 fa dipendere ogni relazione tra le parti al rispetto dei diritti umani.
La presa di posizione del Consiglio
La decisione di procedere alla revisione dell’accordo, in vigore dal Duemila, è stata annunciata dall’Alta rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue Kaja Kallas, stimolata dal voto favorevole che 17 Stati membri su 27 hanno espresso in materia durante l’ultimo Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa. «La situazione a Gaza è catastrofica», ha detto Kallas. «Gli aiuti devono arrivare subito senza ostruzioni. La pressione è necessaria per cambiare la situazione. C’è una forte maggioranza a condurre una revisione del rispetto dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele e ora lo lanceremo». A votare contro sono stati Italia, Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, Grecia, Croazia, Cipro, Bulgaria e Austria, astenuta la Lituania. Tutti gli altri, dunque, sono favorevoli a inviare a Benjamin Netanyahu un messaggio che, per il momento, ha solo un forte valore simbolico e diplomatico, ma che potrebbe avere, dopo il processo di revisione, conseguenze pratiche che potrebbero giungere fino alla sospensione dell’accordo.
La replica del governo di Tel Aviv non si è fatta attendere ed è stata dura. «Respingiamo categoricamente la direzione assunta nella dichiarazione, che riflette una totale incomprensione della complessa realtà che Israele sta affrontando», ha scritto sui social Oren Marmorstein, portavoce del ministero degli Esteri. «Questa guerra è stata imposta a Israele da Hamas, e Hamas è il responsabile della sua continuazione. Israele ha ripetutamente accettato le proposte americane di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Hamas ha rifiutato ognuna di queste proposte. Ignorare queste realtà e criticare Israele non fa che irrigidire la posizione di Hamas e incoraggiarla a rimanere ferma sulle sue posizioni».
Spari sulla diplomazia, tensione a Jenin
La vicenda fa da sfondo a quanto accaduto ieri, 21 maggio, a Jenin, in Cisgiordania, dove l’esercito israeliano ha sparato in aria dei colpi di avvertimento verso una delegazione diplomatica internazionale. Secondo l’Idf l’azione sarebbe stato un modo per segnalare al gruppo di allontanarsi da una zona in cui non poteva accedere, ma diverse delle cancellerie che avevano propri rappresentanti nella missione hanno chiesto che venga avviata un’indagine per verificare che non sia stata una sorta di «rappresaglia» per la posizione espressa dall’Ue e dalla comunità internazionale.
La crisi umanitaria continua
In tutto ciò, la situazione umanitaria non accenna a migliorare. Dopo quasi due mesi e mezzo di blocco – era il 2 marzo quando è iniziato – all’ingresso di aiuti umanitari, il 18 maggio Netanyahu ha annunciato un alleggerimento. In tre giorni, fino al 21, sono entrati nella Striscia 198 camion attraverso il valico di Kerem Shalom, a sud di Rafah, ma la distribuzione avviene a rilento a causa dei controlli, tanto che 90 mezzi hanno dovuto attendere circa 17 ore prima di poter scaricare il proprio contenuto nei rispettivi magazzini.
Inoltre, entro la fine di maggio la gestione del flusso di aiuti umanitari dovrebbe venire interamente affidata alla Gaza Humanitaria Foundation, misteriosa organizzazione privata su cui ha indagato il Financial Times. Fondata a febbraio in Svizzera da un cittadino armeno, è guidata da un ex marine americano, Jake Wood, che in passato è stato a capo della agenzia di soccorso Team Rubicon. Su chi ci metta dentro i soldi, però, rimane l’oscurità.
In apertura: alcuni palestinesi trasportano i corpi dei loro parenti uccisi durante un bombardamento su Dei al-Balah il 21 maggio. ((AP Photo/Abdel Kareem Hana) Associated Press/LaPresse)
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