Non profit

Luglio 1990, legge Amato. Credito e filantropia separano le loro strade

di Redazione

Le fondazioni di origine bancaria sono nate quasi per caso vent’anni fa da quella riforma del credito meglio conosciuta come legge Amato: un’esperienza ritenuta esemplare nel panorama dei processi di privatizzazione che nel mondo hanno generato soggetti e iniziative filantropiche. Il ruolo delle fondazioni d’origine bancaria e la loro identità di soggetti privati non profit, protagonisti del terzo settore, sono stati, peraltro, pienamente e definitivamente chiariti dalla Corte Costituzionale nel settembre 2003, con una fondamentale sentenza (la n. 300) che le ha confermate come «persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale» collocate a pieno titolo «tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali».
La legge Amato (legge di delega n. 218 del 30 luglio 1990) e i relativi decreti applicativi, sotto la spinta esercitata dalla prima e dalla seconda direttiva europea in materia creditizia riguardanti la libertà di stabilimento e la despecializzazione bancaria, portarono a una profonda e radicale trasformazione delle originarie Banche del Monte e Casse di Risparmio. Queste erano enti creditizi con una forte connotazione solidaristica, sorti per lo più agli inizi dell’Ottocento (ma alcuni come il Monte dei Paschi di Siena addirittura quattro secoli prima).
La riforma Amato determinò la separazione dell’attività creditizia da quella filantropica. L’attività creditizia fu scorporata e attribuita alle Casse di Risparmio spa e alle Banche del Monte spa, ormai società profit, commerciali private, disciplinate dal Codice civile e dalle norme in materia bancaria analogamente alle altre banche. Mentre le attività finalizzate allo sviluppo sociale, culturale, civile ed economico rimasero proprie delle neonate fondazioni.
All’inizio le fondazioni di origine bancaria (88, diverse per dimensione e operatività territoriale) furono pensate quasi esclusivamente come depositarie dei patrimoni delle Casse da privatizzare. Ad esse fu, dunque, data la proprietà delle azioni in cui era stato ripartito il patrimonio delle Casse ed ebbero l’obbligo di mantenerne la maggioranza fino al 1994, con l’entrata in vigore della legge n. 474 che lo eliminava. Successivamente, con la cosiddetta legge Ciampi, la 461 del 1998, e il relativo decreto applicativo n. 153 del 1999, alle fondazioni fu imposto un obbligo opposto: quello di rinunciare al controllo delle relative banche. Un obbligo tuttora vigente, salvo (legge n. 212/2003) per le fondazioni con patrimonio contabile netto inferiore a 200 milioni di euro o con sede in regioni a statuto speciale.
Le Fondazioni di origine bancaria in ogni caso non hanno alcun ruolo gestionale nelle banche di cui sono azioniste (è allocato in attività bancarie poco più di un terzo del loro patrimonio complessivo). Esse sono, infatti, investitori istituzionali che dall’investimento dei loro patrimoni traggono gli utili necessari per svolgere l’attività filantropica, che si concretizza in oltre un miliardo e mezzo di donazioni all’anno. Queste sono rivolte a vari settori di interesse collettivo, fra i quali i principali sono: arte, attività e beni culturali; ricerca; educazione, istruzione e formazione; volontariato, filantropia e beneficenza; sviluppo locale; assistenza sociale; salute pubblica; protezione e qualità ambientale; sport e ricreazione.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.