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Lui e lei: la santità è una miscela esplosiva

di Redazione

Fu Francesco a volere un ramo femminile. Che per la prima volta non doveva essere solo di clausura. Chiara gli fu irriducibilmente fedele, bacchettando anche i papi. Un libro magnifico racconta la storia della “coppia” che cambiò l’ItaliaC’è uno stupendo particolare dell’affresco di Pietro Lorenzetti, conservato nella Basilica Inferiore di Assisi, sulla copertina dell’ultimo libro di Chiara Frugoni, Storia di Chiara e Francesco. Si vede il cielo cupo che sovrasta la scena della cattura di Cristo, con un picco di montagna dietro cui si eclissa uno spicchio di luna dorata. Per capire a cosa alluda quest’immagine, bisogna leggere il libro, che racconta una vicenda bellissima e profondamente drammatica, quella dello strappo che Francesco e Chiara diedero non solo alla storia della Chiesa ma anche dell’intero Occidente sull’inizio del Duecento. La Luna che tramonta è metafora di una parabola, quella dei due santi, che alla fine viene metabolizzata dalle istituzioni attraverso estenuanti e a volte prevaricanti mediazioni. I due protagonisti lottarono, non si diedero mai per vinti, senza per altro mai disobbedire: è in questo spazio drammaticamente sottile che si svolge la loro straordinaria vicenda umana.

Non due, ma una storia
L’idea della Frugoni di raccontare non due storie in parallelo, ma un’unica storia, quella che attraverso non poche testimonianze e documenti lega Chiara e Francesco, rappresenta qualcosa già di per sé dirompente. Non è una dirompenza che si mette contro nessuno, ma che introduce, sull’onda delle loro esperienze, alcune novità umanamente affascinanti. Che Francesco pensasse ad un ordine femminile, che lo pensasse non come da tradizione nei termini di una clausura, ma come «clausura aperta al mondo» è un fattore in un certo senso “inaudito”, nel senso che non se ne era mai sentito parlare prima di allora.
La definizione di «clausura aperta al mondo» è riportata in una lettera di Giacomo da Vitry, vescovo di Acri in Palestina, datata 1216, nella quale fa un rapporto sulle realtà francescane incontrate nel suo viaggio in Italia, in occasione della morte di papa Innocenzo III. C’è un’unità di intuizione e di intenti in queste due figure che pure hanno qualche asimmetria anagrafica (Chiara sopravvisse per 27 anni a Francesco), c’è un’assonanza istintiva che non ha bisogno neanche di essere pronunciata pubblicamente per affermarsi: e il tema di fondo potrebbe riassumersi in una fede che va per il mondo e nel «privilegio dell’altissima povertà».
Nel caso di Chiara, specificamente, la cosa si concretizzava nell’aver creato all’interno dell’ordine le figure delle «sorores extra monasterium servientes», alla fine cancellate dalla versione definitiva della Regola. Si trattava di sorelle che a turno, invece di stare in convento, si avventuravano per i paesi a portare testimonianza della loro esperienza di sequela a Gesù; di povertà vissuta come ricchezza. In un dialogo di matrice francescana scritto da un anonimo qualche decennio più tardi, si immagina che Madonna Povertà vada in visita a un convento francescano. Alla richiesta di vedere il chiostro, viene condotta sulla sommità di una collina «e le mostrarono tutt’intorno la Terra sin dove si poteva spingere lo sguardo, dicendo “Questo, Signora, è il nostro chiostro”». Ecco cos’era la «clausura aperta al mondo». Quanto all’altissima povertà era il «rifiuto di ogni bene contando sul lavoro manuale»: Chiara chiese a un esterrefatto Innocenzo III il privilegio di non essere mai costretta a ricevere possedimenti e lasciti. A Chiara e alle sue monache Francesco destinò il luogo da cui si era originata la storia del francescanesimo, la chiesetta di San Damiano, dove il crocefisso gli “aveva parlato” (oggi è custodito appunto nella basilica di Santa Chiara ad Assisi). Negli affreschi di Giotto, che rappresentano il grande capolavoro con cui venne definitivamente fissata un’immagine “ortodossa” di Francesco, Chiara torna non una ma due volte. La prima è la celebre scena dei funerali, dove si vedono le monache che escono dalle porte della nuova Basilica (con una forzatura storica: la chiesa è datata 1265, quarant’anni dopo la morte di Francesco, e circa trenta prima degli affreschi di Giotto), e si buttano sul santo come le Marie nella Deposizione. La seconda invece è una novità presentata dalla Frugoni in questo suo libro: nella scena in cui il Crocifisso di San Damiano parla a Francesco, sull’arcone dell’abside, Giotto ha dipinto sei candelabri di cui non si era mai capito il significato. Attraverso numerosi riscontri, compresi i documenti relativi alla canonizzazione di Chiara, in cui viene spesso presentata proprio con la metafora del candelabro, si è capito che quei segni misteriosi alludono a Chiara e alle prime “sorelle” che l’aveva seguita e che proprio a San Damiano avevano avuto la loro prima casa.
Per tornare alla storia, da parte di tutti c’era stata una grande fretta a chiudere il caso. Francesco venne canonizzato a tempo di record: da santo avrebbe coagulato un consenso senza più contrasti. Chiara, tostissima nel difendere la sua Regola anche davanti ai vari pontefici con cui interloquì (stupendo per decisione e per chiarezza di fede il dialogo con cui rintuzzò Gregorio IX), venne “sistemata” con una Regola ad hoc in extremis, che però valeva solo per le monache di San Damiano…

Non c’è tristezza in loro
La Frugoni ne conclude che la loro fu quindi una sconfitta, «una storia triste». In realtà è il contrario, perché l’esperienza di Chiara e Francesco contiene una dimensione irriducibile di gioia, ben documentata in tutte le pagine del libro e che nessuna sconfitta (per altro realisticamente messa in conto da due personaggi che non erano certo dei sognatori o degli utopisti) avrebbe potuto eclissare. Sono le stesse pagine del libro a documentarlo. Per quanto riguarda Chiara, ad esempio, attraverso quella meravigliosa lettera scritta ad Agnese di Boemia (una che l’aveva seguita fedelmente, pur così lontana). Le raccomanda Chiara: «Con corsa spedita, passo leggero, piede sicuro, in modo che i tuoi passi non sollevino polvere, avanza sicura, gioiosa e vivace, sul sentiero di una pensosa felicità». Per quanto riguarda Francesco parla un episodio giustamente riferito nel libro: seppur ormai invalido, si era fatto portare in una capannuccia di stuoie allestita in San Damiano, per finire di scrivere il suo Cantico delle creature. Di tristezza, in quei due, non c’era neanche l’ombra.

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