Welfare

L’uomo ha troppi sapori

Cinema «Cous Cous» di Abdel Kechiche, un film da non perdere

di Redazione

Forse i piatti tradizionali sono tutti così. Nascono dalla mescolanza di più sapori, le verdure e il pesce, dei sapori, degli altri ingredienti più o meno segreti… Ed hanno questo di caratteristico: che ciascuno sa, anche senza averne mai fatto esperienza, esattamente quando unire le verdure, quanto tempo lasciare la pentola sul fuoco. Una condizione simile a quella dello spettatore di questo bellissimo film assai ben diretto da Abdel Kechiche: è dai tempi di Ulisse che conosciamo lo stato d’animo di chi ha attraversato i mari e non si sente in nessun luogo a casa sua. E che sappiamo a memoria (ma i francesi direbbero, più giustamente, par coeur) quanto può essere lunga la sequela delle sfortune, degli intoppi, delle difficoltà. E allo stesso tempo gratuita: la storia del sessantenne Beiji, rimasto senza lavoro e tuttavia ancora pieno di progetti, è lì a farcelo comprendere fino in fondo. Non che manchino problemi oggettivi (i permessi per trasformare una nave in ristorante, ad esempio, o il mutuo), ma sono nulla al confronto delle ostilità, tutte soggettive, del contesto. L’incomprensione degli altri emigrati, la durezza della nuova patria (la Francia, nei pressi di Marsiglia) e degli autoctoni, freddi e distaccati perché persuasi di avere dei diritti in più.
Elementi noti, si diceva, che però il regista riesce a rimodulare con profondità, articolandoli in una prospettiva che è anche se non soprattutto familiare: Beiji non è l’emigrato solitario, addirittura di famiglie ne ha due. Separato dalla moglie, vive in un piccolo hotel e ha una relazione con la proprietaria. Non solo: ha anche tantissimi figli, rappresentanti di una seconda generazione che, come la prima del resto, è estremamente disomogenea. Sicché il racconto, che parte dalle difficoltà lavorative, diviene, dialogo dopo dialogo, un’analisi delle complesse relazioni familiari, fra tradizione (simboleggiata appunto dal cous cous) e una condizione moderna piuttosto incerta. Ne emerge un mosaico piuttosto complesso, sentimenti e diritti che si intrecciano, affetti che persistono e non sanno dirsi, solidarietà silenziosamente confermate e sostegno quasi di comodo.
Atteggiamenti che si dispongono con chiarezza metaforica nella seconda parte del film, la festa sulla nave. La cena che è scomparsa, gli ospiti che rumoreggiano. Beiji che cerca una soluzione ed è vittima di una beffa crudele e la sua figlioccia che, per dare una mano, si esibisce in una danza del ventre. E a Kechiche, per raccontare la fine del sogno, non resta che il montaggio alternato.