Welfare
Ma il sogno di ripartire ce l’hai anche a 70 anni
Quando la grinta non è un fatto anagrafico
di Redazione
Maria Lucia, Elide, Vincenzo, Ferdinando: anziani. Si dicono pronti
a rimboccarsi le maniche. Per loro e per le loro famiglieLa domenica di Pasqua padre Dante, parroco di Pettino, ha battezzato Claudia. Una scelta che testimonia la fiducia nel domani dei genitori. In un domani da vivere qui. Il papà e la mamma di Claudia sono giovani, si dirà, ed è naturale che vogliano continuare a vivere dove sono cresciuti. Hanno l’energia psichica dello start up, per dirla con Giuseppe De Rita. Ma non sono i soli. Da queste parti non c’è l’abitudine di arrendersi facilmente. Provate a dirlo voi alla signora Maria Lucia, 77 anni di magrezza e un filo di voce, che potrebbe andare altrove. Lei che è stata per cinque giorni e notti dopo il terremoto nel pagliaio, non vuole che tornare a casa sua: «Non è crollata, anche se qualche dannuccio ci sta». Le fa eco la quasi coetanea Elide (76 anni): l’ipotesi di andar via da Onna non la prende nemmeno in considerazione. «Ci torniamo tutti. Mio marito, i miei figli, le loro mogli».
Con semplicità, Elide offre una chiave per comprendere la grinta di questi settantenni che hanno la certezza della ricostruzione: la famiglia ha, in queste zone, un sapore quasi antico. Si vive tutti insieme: genitori, figli, nipoti. È naturale che il più giovane si prenda cura del più anziano. E forse così contribuisce a tener viva la tenacia. Che fa dire a Vincenzo Noceri, da poco in pensione, che «non si può abbandonare la terra dove si nasce». O spinge Ferdinando Nardi (4 figli, 63 anni) a precisare che a lui non va di «fare l’assistito» e a riflettere da subito sulla ricostruzione («dobbiamo ripensare il piano regolatore»). Certo, fra gli sfollati, alcuni paiono cedere alla tentazione di lasciare tutto, ma è solo un attimo. Luciana Palumbo, ad esempio. La chiamano «sindaco ufficiale del campo Roio» tanto si distingue per il suo attivismo. Lei la sua paura di rientrare l’ammette: «Dovrà passare qualche tempo, un tetto sulla testa adesso ci sembra un masso che sta lì lì che ci scende addosso. Voglia di ripartire sì, di ricostruire meno. Non ne vale la pena. A questo punto? A quasi 60 anni», spiega. Ma poi aggiunge: «Adesso ci basta poco. Prima abbiamo costruito case grandi. Adesso due stanze sarebbero sufficienti».
Qualcuno invece la casa se la ricostruirebbe con le sue mani. «Bueno, io lavoravo in un ristorante, ma adesso non so. Se posso, farò la muradora», spiega una giovanissima nonna (43 anni) originaria di Cuba, che abita a L’Aquila con figlia e nipotino.
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