Mondo
Ma ora le ong escano dal quartierino
Dobbiamo superare frammentazione e autoreferenzialità. Perché non tutte le colpe sono della politica... di Giulio Albanese
di Redazione
All?indomani della pubblicazione del Dpef, possiamo francamente dire che la cooperazione internazionale pare torni ad essere uno degli elementi della programmazione economica del nostro Paese. Tutto sommato, si tratta di un documento che fa ben sperare, ponendo le premesse per destinare lo 0,51% del Pil all?Aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2010. Considerando che in questi anni l?Italia in termini di solidarietà, indipendentemente dal governo di turno, è stato il Paese dei gamberi – anziché promuovere la solidarietà internazionale, sottraeva fondi a dismisura – bisogna riconoscere che questa volta è stata registrata una significativa inversione di tendenza.
È chiaro che s?impone l?esigenza di un cambiamento radicale, nella consapevolezza però – ed è questo il punto – che le responsabilità sono condivise. In sostanza si tratta di andare a fondo nel ricercare le vere ragioni che hanno determinato il graduale svilimento dell?impegno italiano ?ad extra?, ponendo le questioni centrali sotto il cono di luce di una critica costruttiva, promuovendo la libertà di giudizio rispetto a tutte le componenti in campo, nei confronti sia della politica, ma anche verso gli stessi soggetti della cooperazione che sembrano estraniarsi a qualsivoglia richiamo.
Oggi per quanto siano legittime le osservazioni sulle manchevolezze dei vari inquilini che in questi anni si sono succeduti a Palazzo Chigi, sarebbe ora che comunque qualche esponente delle ong italiane promuovesse una sana autocritica, un atteggiamento al tempo stesso distaccato e ironico, partecipato se si vuole, ma anche libero, spregiudicato, pungente, equanime ed onesto, rispetto al proprio cartello d?appartenenza. E sì, perché le ong italiane sono quasi tutte di piccolo e medio cabotaggio. Questa frammentazione, espressione di un?autoreferenzialità all?eccesso, è sintomatica dell?incapacità di innescare sinergie progettuali innovative rispetto ai temi dello sviluppo. La riduzione funzionalista della cooperazione produce una sorta di rassegnazione che nella migliore delle ipotesi induce a navigare sotto costa e non in mare aperto. Ecco che allora il volontario risente in modo più acuto la riduzione del proprio impegno ad un?esperienza contingente, quasi fosse una corda tesa tra vocazione e opportunità professionale.
È la spia di un disagio esistenziale che indica paradossalmente un allontanamento dagli obiettivi di una cooperazione davvero attenta alla promozione del diritto di cittadinanza. Insomma, finché si continuerà a comunicare attraverso gli spot strappalacrime o certe campagne promosse a raffiche di ?sms?, dimenticando che occorre recuperare un filo diretto con la ?base? della società civile, le isobare della solidarietà indicheranno la bassa pressione non solo per i politici, ma anche per chi milita nel terzo settore. Per carità, si potranno pure organizzare convegni, seminari, tavole rotonde animando i soliti del quartierino, senza però raggiungere il cuore della gente, poco importa che si tratti del metalmeccanico di Poggibonsi o della casalinga di Voghera.
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