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Mali, l’appello di Amnesty: salvaguardare i civili

Mentre proseguono gli attacchi delle forze francesi contro i gruppi islamisti, l'organizzazione mette in guardia dai rischi di un'escalation militare. Intersos: rischio destabilizzazione per l'intera regione

di Redazione

Mentre proseguono gli attacchi militari delle forze francesi, Amnesty International chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto armato del Mali di garantire che i civili siano protetti.

Col sostegno francese, l’11 gennaio l’esercito del Mali ha lanciato una controffensiva nei confronti dei gruppi armati islamisti, per impedire la conquista delle città meridionali.

«Vi è il concreto timore che gli scontri possano dar luogo ad attacchi indiscriminati o altri attacchi illegali in zone in cui i membri dei gruppi armati islamisti sono mescolati alla popolazione civile» – ha dichiarato Paule Rigaud, vicedirettrice di Amnesty International per l’Africa. «Le forze che prendono parte agli attacchi armati devono a ogni costo evitare bombardamenti indiscriminati e fare il massimo per evitare vittime civili».

Negli ultimi giorni, il conflitto del Mali ha conosciuto una significativa intensificazione (per approfondire, leggi qui il blog di Giulio Albanese). L’11 e il 12 gennaio almeno sei civili sono morti nei combattimenti per controllare la citta’ di Konna. Il 12 e 13 gennaio gli aerei francesi hanno bombardato le zone di Gao e Kidal. Oggi, i gruppi armati islamisti hanno conquistato la città di Diabaly, 400 chilometri a nord della capitale Bamako,

‘La comunita’ internazionale ha la responsabilita’ d’impedire un ulteriore ciclo di abusi durante questa nuova fase del conflitto’ – ha dichiarato Rigaud.

Amnesty International ha chiesto alla comunita’ internazionale di favorire l’immediato dispiegamento di osservatori sui diritti umani, che monitorino con particolare attenzione l’uso dei bambini soldato, i diritti dei  bambini e delle donne e la protezione della popolazione civili.   

Secondo resoconti ricevuti da Amnesty International, i gruppi armati islamisti stanno impiegando bambini soldato e alcuni di essi sono stati feriti e forse uccisi nel conflitto.

Amnesty International ha sollecitato le forze francesi in Mali a dare il maggiore preavviso possibile alla popolazione civile in vista degli attacchi e ha chiesto ai gruppi armati di non piazzare obiettivi militari nei pressi di quelli civili, nonché di garantire l’incolumita’ dei 13 ostaggi nelle loro mani, tra cui sei francesi e quattro algerini.

Da quando, nell’aprile 2012, hanno assunto il controllo del nord del Mali, i gruppi armati islamisti hanno commesso gravi e massicci abusi dei diritti umani, introducendo amputazioni, frustate e lapidazioni come sanzioni nei confronti di chi si oppone alla loro interpretazione dell’Islam.

Su richiesta del governo del Mali, a partire dall’11 gennaio la Francia ha inviato circa 550 soldati nell’ambito della cosiddetta ‘Operazione Serval’.

Il 20 dicembre 2012 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva autorizzato una forza a guida africana a ‘usare tutte le misure necessarie’ per riconquistare il nord del Mali dalle mani ‘dei terroristi, degli estremisti e dei gruppi armati’. Truppe da alcuni paesi dell’Africa occidentale, tra cui Niger e Nigeria, stanno per essere inviate nel paese.

I pericoli che corre la popolazione civile vengono sottolineati anche dall’organizzazione umanitaria INTERSOS, come testimonia Code Cisse, responsabile della missione in Mali: "Una parte della popolazione civile si sta spostando dalle zone colpite dai combattimenti e dai bombardamenti nel nord del Mali verso luoghi più sicuri, fuori e dentro il paese. Siamo preoccupati per le conseguenze della guerra: nell’area di Mopti dove c’è la nostra base abbiamo messo a punto un piano d’emergenza per accogliere nuovi sfollati in fuga dalle violenze".


Nelle 5 ‘province’ dell'area di Mopti, oggi tornata alla calma, INTERSOS interviene dall’inizio del conflitto nella regione nord dell’Azawad verificando le condizioni dei circa 41.000 sfollati stimati, raccogliendo i dati dei nuclei familiari, della loro composizione e dei loro bisogni umanitari (educazione, salute e igiene, sicurezza alimentare). Con il profiling già portato a termine, gli operatori umanitari devono riavviare l’impegno di monitoraggio e d’intervento sui casi di abusi e di violenza di genere con esperti di protezione dei diritti umani. Nei conflitti armati le prime vittime infatti sono le donne, minacciate dalle violenze sessuali, usate come strumenti di guerra.
«Oggi vediamo l’intervento militare nel nord del Mali ma, per chi come noi lavora da anni nei paesi del Sahel sull’emergenze nate dai conflitti sulle risorse naturali, le minacce concrete di una destabilizzazione dell’intera regione erano evidenti» spiega Federica Biondi, responsabile Mauritania di INTERSOS. «Si sono trascurati allarmi e richiami anche dopo la fine del conflitto in Libia, che ha fatto precipitare la crisi nel Sahel con il ritorno di migliaia di combattenti armati nella regione del nord Mali. Oggi è difficile prevedere cosa accadrà, sappiamo però che decine di migliaia di civili pagano già il prezzo più alto».
È alto l’allarme per la difesa e protezione dei diritti umani: nella città appena liberata di Dire, infatti, si sono registrati casi di vendetta su collaborazionisti dei gruppi ribelli islamisti con lapidazioni nelle strade, ritorsioni e nuove escalation di violenza.

E’ in marcia anche un flusso ancora indefinito di persone verso il confine con la Mauritania, dove dall'inizio della crisi nel 2012 INTERSOS assiste i rifugiati dal Mali nel campo profughi di Mberra. Oggi oltre 50.000 persone scappate dal nord del paese trovano accoglienza e riparo in condizioni difficili dovute alla povertà, alla malnutrizione e al clima estremo del deserto saheliano.

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