Femminicidi

Martina, uccisa a 14 anni: «Fra gli adolescenti sta tornando popolare il maschio alfa»

Della vicenda di Martina Carbonaro, uccisa a soli 14 anni dall’ex fidanzato diciannovenne, colpisce soprattutto l’età dei due. Che cosa c'è nelle relazioni tra gli adolescenti che può spingere a tanto? Qualcosa ce lo racconta il successo dell'hashtag malessere. Un viaggio tra i ragazzi di Afragola, la città di Martina, e Casal di Principe

di Rossana Certini

Sgomento, incredulità, dolore profondo. Sono questi i sentimenti che oggi ci accomunano tutti di fronte alla notizia del ritrovamento del corpo senza vita di Martina Carbonaro. Aveva solo 14 anni. Era scomparsa la sera del 26 maggio da Afragola, un centro di 62mila abitanti in provincia di Napoli, la madre ne aveva denunciato la scomparsa. Oggi ogni speranza è infranta. Martina non tornerà più a casa. Vittima del fidanzato diciannovenne, Alessio Tucci, che secondo quanto riportato dall’Ansa avrebbe confessato: «L’ho uccisa perché mi aveva lasciato». Una violenza ricorrente che, solo dall’inizio 2025, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale femminicidi, ha già tolto la vita a 27 donne, mentre altri 5 casi sono in fase di accertamento.

Qui Afragola

«Le nostre ragazze sono sconvolte», racconta Assunta Vilardi, responsabile del Centro di aggregazione giovanile “Le Salicelle” di Afragola gestito dal 2013 dai volontari dell’Opera don Calabria. Prosegue Vilardi: «Alcune di loro hanno 13 o 14 anni, stanno vivendo i primi amori, le prime relazioni. È per questo che si immedesimano profondamente in ciò che è accaduto: sentono questa tragedia come qualcosa di vicino. Martina è una di loro. Poteva essere un’amica, una compagna di scuola, una vicina di casa».

Laboratori al centro “Le Salicelle” di Afragola (foto dalla pagina Facebook del centro)

Ogni pomeriggio, il centro accoglie una trentina di ragazzi tra i 6 e i 16 anni, offrendo supporto scolastico, laboratori e attività ricreative. L’obiettivo dei volontari è dare ai giovani nuove prospettive per il futuro e contrastare la dispersione scolastica. Vilardi continua: «Quello che colpisce è l’età dei due ragazzi: lei 14, lui 19 anni. Entrambi giovanissimi. Oggi stiamo parlando con i ragazzi che frequentano il centro per far capire loro che dire “ti amo da morire” non significa “morire d’amore”. Il nostro impegno quotidiano è fare prevenzione, dialogando con loro, perché stiamo assistendo al ritorno di modelli relazionali che pensavamo superati. Sta riemergendo la figura del maschio dominante, che considera la donna una sua proprietà: “tu sei mia e fai ciò che voglio io”».

Oggi stiamo parlando con i ragazzi che frequentano il centro per far capire che “ti amo da morire” non significa “morire d’amore”. Stiamo assistendo al ritorno di modelli relazionali che pensavamo superati, sta riemergendo la figura del maschio dominante, che considera la donna una sua proprietà

Assunta Vilardi, centro di aggregazione giovanile “Le Salicelle” di Afragola

Controllo e violenza nelle relazioni teen

Una fotografia, quella fatta da Vilardi, che rispecchia quanto emerge dai dati raccolti da Save the Children che, interrogandosi su come vengono vissute le relazioni sentimentali nell’adolescenza, a febbraio dello scorso anno ha pubblicato il rapporto: “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”. Dai dati raccolti, in collaborazione con Ipsos, è emerso che il 30% degli adolescenti sostiene che la gelosia è un segno di amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, pensa possa succedere che in una relazione intima scappi uno schiaffo ogni tanto. Inoltre il 65% delle ragazze e ragazzi, che tra gli intervistati che avevano già avuto una relazione, dichiara di aver subìto dal partner almeno un comportamento di controllo, come la richiesta di non accettare contatti da qualcuno/a sui social (42%); di non uscire più con delle persone (40%); di poter controllare i propri profili sui social (39%); di non vestirsi in un determinato modo (32%); fino al sentirsi dire, in un momento di difficoltà, che il partner avrebbe commesso un gesto estremo facendosi del male (25%).

Attività ricreative al centro “Le Salicelle” di Afragola (foto pagina Facebook del centro)


Daniela Santarpia è presidente della cooperativa sociale Eva che ha sede a Santa Maria Capua Vetere, una trentina di km da Afragola. La cooperativa, aderente a Legacoopsociali, lavora nella prevenzione e il contrasto della violenza maschile contro le donne. Fra le altre cose, gestisce il Punto Luce di Casal di Principe, uno spazio ad alta densità educativa promosso da Save the Children. Santarpia spiega che «non si tratta di amore, ma di possesso. Un sentimento distorto che, quando viene meno, si trasforma in rabbia e aggressività. È proprio questo che accade quando il “possesso” viene messo in discussione» E prosegue: « Martina è stata ammazzata dopo aver deciso di lasciare il suo fidanzato. Lui voleva tornare con lei, ma lei ha detto “no”. Ed è stato proprio quel rifiuto a scatenare la violenza, come purtroppo è accaduto anche negli altri casi di femminicidio, dove le donne sono state uccise dopo aver lasciato un compagno che non ha accettato la fine della relazione».

Un maschile che a qualsiasi età non sopporta di perdere il controllo, il possesso della donna. È un segnale chiaro che ci dice che c’è un bisogno urgente di lavorare sulla prevenzione, e questo significa cambiare un certo modello di mascolinità. Un modello che continua a considerare la partner fidanzata, moglie o compagna che sia, come una proprietà.

Hashtag malessere: modelli tossici tra i giovanissimi

«Quello che preoccupa davvero», prosegue Santarpia, «è che, fino a poco tempo fa, pensavamo che queste visioni del maschile appartenessero solo agli uomini adulti. Invece sempre più le ritroviamo anche tra gli adolescenti e i giovanissimi, ragazzi che dovrebbero vivere l’amore in modo più puro, più romantico, più sano. Il problema è che stanno prendendo piede, anche attraverso i social, modelli sociali davvero preoccupanti. Penso al fenomeno che gli adolescenti chiamano “malessere”. Con questa espressione non intendono uno stato emotivo, ma un certo tipo di ragazzo: spesso molto tatuato, muscoloso, con occhiali scuri, sempre serio, che tratta male gli altri e non mostra mai empatia. Il ragazzo così è considerato attraente, vincente e da avere affianco con orgoglio».

Tra gli adolescenti stanno prendendo piede modelli preoccupanti. Penso al fenomeno “malessere”, che descrive un certo tipo di ragazzo che tratta male gli altri, che non mostra empatia: un ragazzo così è considerato attraente e averlo al fianco un orgoglio

Daniela Santarpia, presidente cooperativa sociale Eva

Partito alla fine del 2023 con una canzone neomelodica napoletana, il fenomeno legato all’hashtag #malessere ha rapidamente catturato l’attenzione della Generazione Z su TikTok. È come se il dolore, la durezza, la freddezza diventassero attraenti. Come sottolinea Santarpia:«è importante non solo arginare questi fenomeni ma prevenirli con un lavoro di educazione all’affettività che deve coinvolgere tutte le persone adulte che interagiscono con loro a casa, durante le attività ricreative e sportive. Ma soprattutto a scuola. Finché non ci sarà una vera attenzione all’educazione affettiva, i ragazzi continueranno a vivere le loro prime esperienze sentimentali da soli, oppure impareranno cosa sono le relazioni attraverso i social che spesso propongono modelli distorti e pericolosi. Se noi adulti non li accompagniamo, cercheranno da soli le risposte in rete, trovando contenuti inadatti o fuorvianti».

Attività al Punto Luce di Casal di Principe (foto della pagina Facebook del centro)

Quando il rifiuto scatena la violenza: non è amore è possesso

Il Punto Luce di Casal di Principe è coordinato da Valeria Ruffo che racconta: «attraverso attività ludiche, ricreative e sportive, cerchiamo non solo di sensibilizzare le nuove generazioni, ma soprattutto di creare spazi di ascolto e confronto pensati per loro. Quello che osserviamo ogni giorno è una difficoltà profonda in molti ragazzi ad accettare un “no”. Questo accade anche perché, ritengono che accettando il “no” possano essere considerati deboli». Prosegue Ruffo: «per questo cerchiamo di creare spazi di riflessione per i giovanissimi in cui ci sono ragazzi e ragazzi che dialogano e che lavorano insieme anche sull’accettazione del “no”» Aggiuge Ruffo: «un grosso lavoro lo stiamo facendo anche con le famiglie organizzando con loro degli incontri, momenti di condivisione
che sono funzionali alla crescita personale dei genitori. Ci sono state madri
che hanno ripreso in mano la propria autonomia, hanno ripreso i propri studi e hanno messo a confronto quello che era stata la loro educazione econ quella dei tempi attuali. Questo percorso ha consentito ai genitori di diventare degli esempi positivi per i loro figli».

Quello che osserviamo ogni giorno è una difficoltà profonda in molti ragazzi ad accettare un “no”. Questo accade anche perché ritengono che accettando il “no” possano essere considerati deboli

Valeria Ruffo, coordinatrice del Punto Luce di Casal del Principe

La cultura deve cambiare partendo dalla scuola

Dunque, se da un lato è fondamentale lavorare sul cambiamento culturale della società rispetto all’idea di relazione tra maschile e femminile, dall’altro si osserva, tra i ragazzi, una crescente fluidità nei rapporti che spesso abbassa la soglia del rispetto, dell’intimità e della privacy. «Tutto questo può favorire episodi di violenza», osserva Marianna Giordano, assistente sociale e presidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia – Cismai: «Abbiamo partecipato al Gruppo Crc ed elaborato il documento:“Educazione all’affettività e alla sessualità: perché è importante introdurre la Comprehensive Sexuality Education nelle scuole italiane”. In questo documento si sottolinea la necessità di introdurre l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici, fin dalla scuola dell’infanzia perché il problema non è la libertà delle donne. Il vero nodo è una cultura maschile ancora in gran parte fondata su principi di possesso e dominio. Questo ci dice qualcosa di essenziale: non basta il movimento delle donne per generare un vero cambiamento».


Conclude Giordano: «senza un’evoluzione culturale anche dal lato maschile, il processo resta incompleto. E non riguarda solo le relazioni personali: gli uomini detengono ancora la maggior parte del potere, anche nei principali luoghi della comunicazione, del sociale e della politica. Per questo è fondamentale coinvolgere il maschile nel cambiamento culturale, soprattutto attraverso percorsi educativi che inizino fin dalla prima infanzia».

Foto di Allef Vinicius su Unsplash

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.