Non profit
Mi hanno picchiata, ma quei ragazzi non riesco ad odiarli
La volontaria Alice Bianchi scrive a Vita.it dopo l'aggressione subito in Brasile: «Io voglio parlare perché voglio condividere con voi un pensiero che è sbocciato dentro di me e si sta affermando con forza»
di Redazione

Ho deciso di scrivere questa lettera perché in effetti la mia storia è rimbalzata da un lato all’altro del mondo, attraversando un oceano e unendo mille vite in poche ore. Ma voglio dirvi che quello che mi è successo non è poi così speciale, succede ogni giorno in ogni angolo del mondo che una ragazza sia massacrata di botte; succede in Italia, succede qui, in Brasile, a Rio. Ne ho ascoltate ormai davvero troppe di storie così, di ragazze che stringono i denti e continuano le loro vite. Io voglio parlare perché voglio condividere con voi un pensiero che è sbocciato dentro di me e si sta affermando con forza, ma vorrei che mentre lo leggete il pensiero corra a tutte loro.
Quello che è accaduto poteva succedermi sotto casa, ma è successo quando ero dall’altra parte del mondo. Ero lì a vivere un anno vita così “diverso” per una scelta ben precisa. Ho scelto il Servizio Civile perché usa la solidarietà e l’apertura mentale come strumento, perché è una delle cose più sacre e belle che noi ragazzi italiani ancora abbiamo; ho scelto il Brasile non per la povertà, per le favelas, per i ragazzi di strada, ma l’ho scelto per il calore degli abbracci, per i sorrisi, perché ti fanno sentire fratello anche se sei straniero. Ho scelto Casa do Menor perché è una forza che da anni opera in un ambiente difficile ottenendo grandi risultati, l’ho scelta perché cerca di “essere famiglia” prima di tutto.
Ho lavorato gli ultimi sette mesi con dei ragazzi dai vissuti complicati e drammatici che dalla loro vita riescono a tirar fuori ogni giorno un capolavoro; che si alzano e camminano dopo ogni caduta, che risorgono ogni giorno. Sono persone che sono state picchiate e a volte hanno risposto, che hanno avuto paura di morire e che spesso hanno cercato nella droga una soluzione, ma soprattutto sono quelli che reagiscono e riescono ad amare la vita nonostante le violenze, che imparano a vedere le cose con occhi diversi, come lo sto scoprendo io adesso. I MIEI ragazzi sono questi, sono quelli che lottano e tentano, sono quelli che ce la fanno.
È un fatto straordinario quello che è successo, nel senso che un ragazzo violento non è qualcosa che è nell’ordinario qui, credetemi; e allo stesso tempo, uno stesso ragazzino, con un vissuto simile, mi ha salvato la vita. Questo è qualcosa di straordinario. Non trovate che le due cose si annullino? L’ha fatto lui e so che l’avrebbero fatto tutti gli altri.
Quello che io ho capito, quello che loro mi hanno insegnato è che bisogna reagire alla vita: tutte le nostre piccole morti, i dolori, i “colpi in testa” possono farci rinascere. E possiamo rinascere subito: il giorno dopo un lutto, quello dopo un’operazione, il giorno dopo un’aggressione che non ti aspetti, quando ti risvegli sola in un letto di ospedale così lontano da casa. Possiamo resuscitare, Dio vuole che ci rialziamo subito, perché la vita è troppo bella per essere annegata sotto le lacrime. Dopo quanto è successo ho iniziato a risplendere di una luce che non avevo mai avuto. Ho iniziato ad amare pazzamente la vita e ho voluto iniziare da subito.
Quello che ho capito è che la vita è troppo breve per scrollare i pensieri di gratitudine con un’alzata di spalle; la vita è troppo bella per non correre dietro alle persone per ringraziarle o abbracciarle. La vita è così semplice, siamo noi che la complichiamo tanto; che le persone, tutte quelle che incrociamo sulla nostra strada, sono il tesoro più grande. Penso che alla fine sia tutto lì: guardiamo negli occhi la persona che è al nostro fianco, sorridiamogli e diamogli un abbraccio; se abbiamo un pensiero bello su una persona, diciamoglielo, smettiamola di avere paura di essere vulnerabili. La vita è troppo breve per rinchiudere fra le labbra queste parole. Ma soprattutto viviamo fino all’ultimo respiro, perché la vita è troppo bella per sprecarla. Penso che sia tutto lì: tornare a casa, qualunque sia il luogo che per voi è casa – per me è in tanti posti diversi – e abbracciare forte la persone che si amano.
Mi hanno detto che il ragazzo che mi ha picchiata lo ha fatto perché mi amava tanto, perché ha visto in me una madre che non ha mai avuto, perché piangevo per lui; i medici dicono un raptus e altre cose da dottori. Non saprei, ma in quel momento lo ho amato tanto, e amo e continuo ad amare ognuno di quei ragazzi, anzi li amo ogni giorno di più. Questo mi fa sentire viva. L’amore è un rischio, ma lascia un sapore in bocca come nessun’altra cosa. E la vita è meravigliosa: godetevela ogni Santo giorno a partire da ora, se non lo state già facendo.
Oggi, prima di tutto, mi sento di ringraziare alcune persone in particolare, non perché siano più importanti di altre, ma perché questi giorni li hanno vissuti con me e con me hanno imparato tanto. Per prima cosa ringrazio il ragazzo che mi ha salvato. Ringrazio, inoltre, tutti gli infermieri dell’Hospital da Posse: mi avete fatto sorridere molto; tutta l’equipe medica dell’Hospital dos Servidores, come vi ho già detto siete stati come una famiglia. Ringrazio Rudy, il mio dottore: non so se l’hai imparato all’Università o dove tu ne sia venuto a conoscenza del potere curativo degli abbracci, grazie; il Console, per la sua grande disponibilità. Un grazie va a mia madre e Fabri, che hanno preso il primo volo dall’Italia per essermi vicino; grazie anche a papà, mio fratello e tutta la mia famiglia, per essere stati al mio fianco. Ringrazio Giampi, che è volato dal Mato Grosso fino a Rio, solo per me: Giampi quando ti ho visto, non sono riuscita a trattenere le lacrime di gioia. Ringrazio Kelly, amica e responsabile della pousada, per essermi stata così vicina; i miei grandi amici dall’Italia: vi ho sentito vicino nonostante l’oceano. E’ proprio vero che i viaggi ti insegnano che casa non è un luogo, ma qualcosa che abita dentro di noi.
Ringrazio la Casa do Menor, per aver fatto di tutto per me: un grazie speciale a Lucinha e a Padre Renato e ai miei compagni di viaggio, con cui sto condividendo questo meraviglioso anno di vita.
L’ultimo speciale ringraziamento va a tutti i bambini e ragazzi della Casa do Menor: avete riempito la mia stanza d’ospedale di disegni, messaggi e preghiere, ma soprattutto l’avete riempita di amore, pace e guarigione. Se sono guarita così in fretta è solo perché voglio tornare il più in fretta possibile al mio “lavoro”, cioè ad abbracciarvi tutti, ad ascoltare le vostre storie e a giocare con voi.
Vi amo. Voi tutti siete stati la mia cura. Non sono state le pastiglie rosse dell’ospedale, sono state le vostre parole, azioni e preghiere a farmi guarire. E con il cuore che mi scoppia di gioia per tutto quello che mi avete dato, vi dico un sincero grazie.
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