Giornalismo

Mums, raccontare le migrazioni attraverso la voce delle madri

Il racconto della migrazione attraverso le voci delle madri di giovani che sono partiti per l’Europa, con la sofferenza di chi attende di ricevere una telefonata per sapere che il figlio è sano e salvo. "Mums" è un progetto nato dall'esigenza del giornalista Luca Attanasio di raccontare pezzi di vita che sfuggono alla cronaca. Dopo il Gambia, il viaggio proseguirà a settembre in Mali e poi in Etiopia, diventando un lungometraggio

di Gilda Sciortino

Le mamme. Le uniche persone che saranno sempre lì per noi: affacciate ai balconi sino all’alba in attesa che i loro figli siano al sicuro in casa, le uniche che non avranno mai pace sino a quando ritroveranno i figli perduti. Da loro e con loro si sviluppa “Mums”, progetto pensato e messo in atto dal giornalista Luca Attanasio, supportato da Federica Bonalumi e Carlotta Indiano, in collaborazione con l’Aps IrpiMedia che ha veicolato l’iniziale materiale video di questo percorso. Per la prima missione in Gambia, inoltre, il progetto ha ricevuto il sostegno del Coordinamento nazionale comunità per minori (Cncm).

Un viaggio nel viaggio, per raccontare la migrazione attraverso le voci delle madri di giovani che sono partiti per l’Europa. Come quelle di Adama, Aminata, Matou e Mariama, i cui rispettivi figli Abdou, Lamin, Ibrahima e Jerreh hanno raccontato il loro peregrinare e trovare approdo in Italia.

Racconti pieni di sofferenza, quelli di giovani che ricordano con molta chiarezza quando e perché hanno dovuto lasciare la propria casa, ma soprattutto le loro mamme.

Ed è un viaggio di silenzioso dolore, quello di cui raccontano queste donne che, in attesa di avere notizie dei figli, partiti spesso senza dire niente per non dare ulteriori preoccupazioni, vedono trascorrere inesorabilmente il tempo e la loro vita.

Ma che cosa pensano le loro madri di questi viaggi? Che cosa sanno dell’esperienza dei loro figli in Europa? Che idea hanno del nostro continente? E quanto è diversa da quella di chi l’Europa la vive? Queste le domande da cui è partito “Mums”, ricordando che, tra i migranti gambiani in Italia, i minori stranieri non accompagnati sono veramente numerosi: gli ultimi dati del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dicono che nel nostro Paese ci sono 1.798 minori stranieri non accompagnati provenienti dal Gambia, è la terza nazionalità più numerosa, dopo quella egiziana e quella ucraina.

«Ho 25 anni. Oggi vivo in Sicilia e faccio il meccanico», racconta Abdou. «Lavoro e riesco a sostenere la mia famiglia. In Gambia facevamo fatica a comprare un sacco di riso per sfamare la famiglia, ora riesco ad avere i soldi per vivere qui e per sostenere tutti a casa».  Proprio grazie al fatto che lui in Italia ha costruito la sua vita, la madre ora possiede una bancarella di alimentari a poche centinaia di metri dalla propria abitazione a Kerr Serign, località gambiana che si affaccia sull’oceano Atlantico. 

Mariama

«Riesco a gestire un piccolo commercio che ci dà da vivere, anche grazie a quello che ci manda Abdou», dice Adama. «Ora siamo tutti più sereni, ma il periodo trascorso senza avere sue notizie, non potrò mai dimenticarlo».

Storie di vita che queste donne e i loro figli hanno affidato alla penna del giornalista Luca Attanasio per diventare un medio-lungometraggio che punta a comporre un mosaico di esistenze che hanno dovuto solcare acque pericolose, senza la certezza dell’approdo. «Queste mamme restano mesi, a volte anche anni, senza avere notizie dei loro figli», spiega Luca Attanasio. «Spesso si convincono che sono morti e la loro vita rimane sospesa. Pensiamo ai nostri figli quando tardano a rincasare e un loro messaggio ci rasserena. Ho deciso che fosse il caso di far capire al mondo cosa significa tutto ciò, che sofferenza vivono interiormente queste donne e questi giovani a causa di una politica migratoria cieca. Ho avviato il progetto insieme a Irpimedia, ma ora proseguirò da solo raccogliendo le storie di vita in Mali e, poi, in Etiopia. In Gambia c’è una delle migrazioni che potremmo definire più felice, perché i ragazzi hanno fatto esperienze drammatiche ma ora sono inseriti nel contesto lavorativo italiano, mandano soldi a casa, quindi ora le mamme raccontano una fase piena di luce della loro vita. In Mali invece avremo a che fare con delle mamme i cui figli sono anche morti, mentre con l’ultima tappa, l’Etiopia, indagheremo le madri dei ragazzi che hanno seguito la rotta del Golfo. Tre contesti diversi, dei quali c’è necessità di sapere».

La forza dei figli che rendono onore alle madri

«Sentivo che dovevo essere io ad aiutare mia madre nel lavoro, visto che avevamo molte difficoltà», si inserisce Jerreh, gambiano residente in Italia. «Sono partito un venerdì alle tre di notte, avevo solo 16 anni. Ero sicuro che, se lo avessi detto a mia madre, non sarei mai riuscito ad andare via. Le lacrime, la sofferenza… sono scappato di notte e per tanto tempo ho evitato anche di chiamarla perché sapevo che sentirla piangere mi avrebbe fatto abbandonare il mio progetto».

«Mi convinsi che era morto», offre i suoi ricordi al giornalista d’inchiesta Mariama, che oggi vive a Brikama, a sud della capitale Banjul. Per tre o quattro mesi non ha avuto nessuna notizia del figlio, fino a che un amico di Jerreh l’ha chiamata dicendole che era arrivato in Europa. «Non capivo dov’era. Non mangiavo, non dormivo, avevo paura».

Una voce al telefono che dirada le nubi

L’attesa di uno squillo che faccia saltare dalla gioia. Una voce che si spera sia quella del proprio figlio, le cui parole possano essere: “Stai tranquilla, sono arrivato, sto bene. Ti voglio bene, mamma”. La conferma di essere arrivato in quella terra carica di speranza, nella quale potere ricominciare da zero. Sapendo che lontano da lui, ma vicina nel cuore, c’è una donna le cui notti sono sempre state illuminate dalla speranza che, lontano da lei, ma nel profondo del suo cuore, c’è una vita che sta ricominciando a sognare a colori.

In apertura Adama. Le foto sono di Federica Bonalumi

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