Volontariato

Myanmar: fare cooperazione nel paese oscuro

La dittatura al governo dagli anni 60 ha inasprito duramente i controlli sulla quarantina di ong presenti.

di Redazione

Ostacoli burocratici, attese e riunioni interminabili, spie al seguito, visti e spostamenti negati, voci minatorie che creano ansia. Il lavoro delle organizzazioni umanitarie in Myanmar, la Birmania di un tempo, guidata da una giunta militare dai primi anni 60, è sempre più sotto pressione.

Lo dimostra un recente rapporto dell?Icg – International Crisis Group, secondo cui gli aiuti sono resi più difficili proprio quando c?è più bisogno. Oltre il 30% della popolazione totale – dice un rapporto Onu del 2005 ripreso dall?Icg – vive sotto la soglia di povertà e la metà dei bimbi in età scolare non ha mai ricevuto un?istruzione. Migliaia di persone non possono curarsi da Aids, malaria, tbc e da malattie più banali. Tutto si complica, poi, nelle black area, le zone di guerra, dove sono ancora attive le guerriglie separatiste contro l?esercito governativo, che compie razzie, brucia i villaggi, mina i terreni e costringe migliaia di civili a fughe disperate nella giungla: secondo l?ong Free Burma Rangers, sono 25mila gli sfollati dell?ultima offensiva del governo nello stato Karen, iniziata quasi un anno fa.

In alcune di queste aree al confine con la Thailandia i militari hanno reso impossibile la permanenza della sezione francese di Msf – Medici senza frontiere, che si è ritirata nel marzo scorso, e hanno ordinato la chiusura di cinque uffici dell?Icrc, la Croce rossa internazionale, alla fine di novembre. «I nostri problemi in realtà sono cominciati nel 2005», spiega a Vita Carla Haddad, portavoce dell?Icrc. «Allora avevamo a Myanmar 504 espatriati, oggi sono 20. Il governo ci aveva imposto di visitare i luoghi di detenzione accompagnati dagli agenti dei servizi segreti, ma ciò era incompatibile col nostro modo indipendente di lavorare». Le visite nelle carceri, dove si trovano almeno mille prigionieri politici, si sono interrotte ed è venuto meno l?unico legame che i detenuti potevano avere con le famiglie tramite i rapporti dell?Icrc. Fra i dissidenti agli arresti anche la Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, rinchiusa nella sua casa di Yangon da più di tre anni. «I cinque uffici», continua la Haddad, «sono stati riaperti ma non sono operativi. E temiamo che se le cose non miglioreranno saranno chiusi anche i centri di riabilitazione ortopedica per i mutilati dalle mine».

Il caso di Msf

A essere in pericolo sono i più vulnerabili: vittime del conflitto, gente delle zone rurali senza casa e acqua potabile, carcerati in condizioni disastrose. I diktat della giunta hanno colpito soprattutto le organizzazioni che si occupano di programmi d?emergenza, che operano in aree sensibili, e meno quelle che si concentrano sullo sviluppo. Msf Francia si occupava delle etnie mon e karen colpite dalla malaria e dalle violenze, ma i limiti ai suoi movimenti, l?impedimento a fermarsi in certi distretti e la conseguente impossibilità di scambiare dati medici l?hanno costretta a lasciare il Paese.

In altre regioni, dove le restrizioni erano meno pressanti, sono rimaste, invece, le sezioni svizzera e olandese, seppur fra mille difficoltà. «Abbiamo pensato più volte di lasciare, anche se finora siamo riusciti a superare i problemi», ci confida Claude Mahoudeau di Msf Ginevra. «C?è ancora molto bisogno di noi. Gli infetti da Hiv, Aids e tbc sono in aumento». Elena Torta, dell?ufficio olandese di Msf, spiega: «Dobbiamo fare i conti con le limitazioni tipiche di una dittatura militare, ma riusciamo comunque a lavorare».

Di certo, però, bisogna stare molto attenti, calibrare parole e gesti e assecondare finché si può le richieste di un regime ossessivo, uno dei più impenetrabili al mondo, completamente militarizzato. «Nessuno si aspettava che il governo birmano colpisse la Icrc. è stata una mossa eclatante, l?apice di un processo cominciato due anni fa», racconta a Vita un?operatrice internazionale, che deve restare anonima per motivi di sicurezza. «Fino al 2004 tutte le ong avevano a che fare con un ministero competente che faceva da tramite col ministero degli Esteri e con quello della Pianificazione. Poi il meccanismo è saltato. Dopo l?epurazione del primo ministro e capo dell?intelligence Khin Nyunt, gran parte del personale dei ministeri e dei servizi segreti è cambiato. Oggi non sappiamo più con chi relazionarci. è tutto molto complesso».

Sempre secondo il rapporto dell?Icg, se dal 2001 al 2004 l?intervento umanitario in Myanmar è cresciuto notevolmente, in seguito è prevalsa all?interno della giunta una linea dura, nazionalistica, che non vede di buon occhio le organizzazioni straniere. Ultimo gesto imprevedibile: lo spostamento della capitale dall?antica Yangon, sulla costa meridionale, a Naypyidaw, una zona centrale remota, vicina alle aree di crisi.

«Si tratta di una cittadella blindata», aggiunge la volontaria, «dove si dovrebbero spostare entro il 2008 tutte le ambasciate e le sedi delle ong, ma dubito che tutte saranno disposte a farlo. Alcune probabilmente se ne andranno e la Birmania resterà ancor più isolata». Al momento le ong sono una quarantina, più della metà asiatiche, e devono fare i conti con i controlli dell?intelligence. «Il regime è dappertutto, ma non lo vedi», insiste l?operatrice. «è nella testa dei birmani e spesso condiziona anche noi stranieri. In una dittatura del pensiero non si può mai distinguere cosa è ammesso fare da ciò che non lo è. E per paura di sbagliare si cede al ricatto psicologico con l?autocensura».

Democratic Voice of Burma: www.dvb.no
The Irrawaddy : www.irrawaddy.or