Abituati da decenni a cercare l’esotico nei libri scritti fuori dal nostro immaginato e immaginario Occidente, viene automatico percorrere il romanzo Chehelsaleghi (uscito in Italia col titolo A quarant’anni, edito da Ponte33) dell’autrice iraniana Nahid Tabatabai, alla morbosa ricerca di chador neri, di uomini gelosi e violenti, di arretratezze culturali, o almeno di una scena islamicamente corretta.
E invece ci si trova dinanzi alla narrazione di un universale, post moderno e femminile bilancio esistenziale, sulla soglia dei quarant’anni. La borghesia iraniana si rivela, così, più occidentalizzata di quanto siamo stati abituati a credere. Immersa in un contesto urbano caotico e dinamico, come si presenta Teheran oggi, ha a portata di mano le opportunità del mondo globale ? opportunità di crescita economica e di consumo, così come di espressione e autorealizzazione ? ma è soffocata da un’insicurezza politica di fondo, dalla ricerca di legittimità culturale, da un vago sapore di rimpianto, dal diacronico rapporto tra governo e società civile.
Non sappiamo più chi siamo
Nahid Tabatabai ha oggi 53 anni e ha vissuto gli ultimi eventi storici che hanno segnato il suo Paese: dalla rivoluzione islamica del 79, alla guerra con l’Iraq, all’era Khatami. Drammaturga per formazione, nei suoi racconti fotografa perfettamente e con pochi tratti verbali le diverse sfaccettature di una società complessa; questo fa di lei una delle autrici più lette nell’Iran contemporaneo: «Piaccio soprattutto alle donne: un po’ perché ormai in tutto il mondo la narrativa è per lo più prodotta da e destinata al gentil sesso, un po’ perché c’è stata una grande evoluzione della figura femminile in Iran dopo la rivoluzione e, soprattutto, dopo la guerra con l’Iraq. Il cambiamento sociale è stato talmente rapido che spesso ci troviamo disorientate: la narrativa in questo aiuta a sentirti un po’ meno sola, a confermarti che le cose stanno così».
E come stanno le cose? «Le donne sono istruite, combattive, lavoratrici. Come quelle occidentali, vivono il dilemma tra un modello di femminilità caratterizzato dai ruoli tradizionali di madri e di mogli, e la voglia di emanciparsi per essere qualcos’altro», spiega Felicetta Ferraro, traduttrice del romanzo e ideatrice del progetto editoriale Ponte33.
Creativi in ritirata
E c’è un altro dilemma squisitamente borghese che emerge in questa narrativa: quello del tradizionale valore attribuito alla bellezza femminile ? destinata a sfiorire con la fine della giovinezza ? e la ricerca di nuovi valori estetici, come il fascino, che rappresenta una bellezza conquistata, svincolata dall’età anagrafica. «La vecchiaia è un viso deforme che qualcuno attacca con un mucchio di colla alla nostra faccia, mentre sotto c’è ancora quello giovane che soffoca. E poi, all’improvviso, capisci di essere vecchia e che ancora non hai realizzato nessuno dei tuoi progetti», dice emblematicamente la protagonista di A quarant’anni, facendosi portavoce di un pensiero femminile transnazionale, per poi riscoprirsi bella proprio grazie al fascino che emana mentre suona il suo violoncello.
Ma vi sono altre realtà che il pubblico femminile iraniano vuole sentirsi raccontare: le storie di ragazze madri, di prostitute, di omosessuali: tutti tasselli che ricompongono il grande mosaico dell’Iran moderno. Sono le storie più difficili da pubblicare, perché devono aggirare la censura: così gli scrittori narrano la realtà con cautela, usando allusioni, rimandi, metafore, attraverso mille difficoltà di carattere burocratico, come racconta la Tabatabai.
«Dirigo una piccola casa editrice per promuovere le giovani promesse della narrativa iraniana, ma è un mestiere sempre più difficile: tutti i giorni si inizia con una cattiva notizia. Il malessere e l’incertezza sul futuro del Paese fanno perdere a molti la voglia di scrivere. Penso continuamente alla possibilità che inizi una nuova guerra. Non abbiamo ancora superato le conseguenze psicologiche della guerra precedente, non potrei sopportare la paura, il terrore e le disgrazie che ne conseguono, per tutti. Ma che posso fare? Scrivo, traduco, mi affliggo…».
Perché c’è un’altra, profonda contraddizione nell’Iran moderno: quella di un immenso potenziale sociale creativo, che nasce dalla popolazione giovane, dall’alto tasso di istruzione, dal dinamismo sociale, che si contrappone alla staticità della politica, alle difficoltà economiche e ai complicati rapporti con l’Occidente. «La comunità culturale è molto delusa, scoraggiata», osserva la Tabatabai. «Gli scrittori hanno perso la voglia di scrivere, il permesso di pubblicare i libri arriva molto tardi o non arriva proprio… La carta è diventata carissima. Quello di cui avremmo bisogno, dopo tutto ciò che abbiamo vissuto come nazione, è soprattutto un po’ di serenità».
Per questa ragione il progetto editoriale di Ponte33 rappresenta una doppia sfida: quella di ri-educare i lettori italiani alla narrativa iraniana più autentica e meno propagandistica; e quella, più importante, di dare voce alle forze creative che, con tutte le difficoltà del caso, continuano comunque ad animare, nel presente, il dibattito culturale nella Repubblica Islamica d’Iran.