Non profit

Nell’era dell’informazione le famiglie di disabili restano all’oscuro

Sono il motore che ha prodotto, in trent'anni, un forte cambiamento culturale. Ma faticano a conoscere i propri diritti

di Redazione

La famiglia ? le famiglie, farei meglio a dire ? è da sempre un cardine mobile e mutevole della nostra società; la famiglia interviene sulla società, le caratteristiche della prima determinano, almeno in parte, quelle della seconda e viceversa. I temi, le istanze, le urgenze della famiglia richiedono (e spesso definiscono) precise risposte da parte della collettività, politica, sociale, culturale….
A una società inconsapevole e incapace di produrre risposte e “cultura” corrispondono, quasi sempre, famiglie inconsapevoli e, a loro volta, inadatte a creare cultura, cambiamento, coscienza. E questo si ripercuote sulla comunità stessa. Un breve preambolo per capire la posizione in cui si trovano, ancora oggi, i nuclei famigliari di molte persone con disabilità.
Quando ero piccolo, quello che veniva visto da parte dei genitori di un bambino con deficit come essenziale era che la società fosse in grado di rispondere alle necessità pratiche e basilari del figlio disabile. Quando andava bene, questo succedeva; in tanti casi neanche questo risultato basilare veniva raggiunto. Nel corso degli anni, a livello legislativo, organizzativo, economico e culturale, molte cose sono cambiate. Mi piace ricordare che il Centro Documentazione Handicap di Bologna proprio in questo 2012 festeggia i primi trent’anni di vita. Quando l’Aias di Bologna (all’interno della quale il Cdh è nato) decise di destinare parte delle sue risorse umane ed economiche alla creazione di un luogo che potesse produrre e conservare documentazione (cultura) relativa alla disabilità, numerosissime famiglie si mostrarono in disaccordo. Il dubbio era che, per “ragionare” a un livello “alto”, si togliessero risorse per garantire il livello “basso” (mezzi per i trasporti, l’assistenza alla persona, ecc).
Sfuggiva, proprio perché non diffusa a livello sociale né proposta e incentivata a livello istituzionale, la portata di quella scelta che ha poi mostrato tutta la sua sensatezza. Ovvero che era il momento di fare e mostrare un cambio di passo. Anche perché le due componenti, corpo e anima, non sono così facilmente scindibili: la cura per l’una è anche, primariamente, cura per l’altro. Occorreva mettere in luce tante pieghe nascoste, avviare discorsi, narrazioni, documenti che mostrassero la persona con deficit come persona tout court, soggetto di diritti e doveri, soggetto attivo, produttivo, produttore. Soggetto di cultura e non solo di assistenza. Soggetto politico, economico, essere pensante, desiderante. Occorreva che, data la sua centralità, la famiglia stessa venisse investita da questo cambio di prospettiva, da questo lavoro di approfondimento ed emancipazione. Perché a sua volta potesse esserne protagonista. E le famiglie, moltissime famiglie, spesso facendo i (difficili) conti con le proprie abitudini e i propri orizzonti culturali, con il tempo hanno risposto. Tanto che, oggi, sembra essere l’altra metà (volendo mantenere questa divisione che so essere artificiale ed imprecisa, ma che dà chiarezza al discorso), ovvero la società, a non essere in grado di tenere il passo delle aspettative legittime che le prime esprimono. Del loro desiderio di sapere, essere informati, per poter svolgere al meglio il ruolo che possono, devono e vogliono svolgere.
È facile notare un paradosso doloroso: in un mondo sempre più connesso e basato sulla produzione e sulla valorizzazione (anche economica) delle informazioni, dell’immateriale, questa risorsa, quando relativa ad handicap e disabilità, è ancora di difficile accesso per molti genitori di persone con deficit (ma anche, ovviamente, per persone disabili adulte più o meno autonome) che restano in troppi casi all’oscuro o in possesso di informazioni imprecise, incomplete, inadatte. E proprio mentre si invoca l’accesso a notizie così importanti, assistiamo in molti casi (anche in una città come Bologna) alla soppressione di servizi (informativi, ma non solo) specialistici destinati a persone disabili e/o a coloro che vivono a stretto contatto con loro.
In questo modo non si nega “solamente” la possibilità di venire a conoscenza dei diritti e delle possibilità per le persone disabili, ma, come ho cercato di far capire, si nega la possibilità di fare della famiglia un attore informato e cosciente del tessuto sociale, un attore che possa a sua volta essere creatore di cambiamento e cultura.

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