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Non solo proteste, la crisi fa riscoprire l’attivismo

di Redazione

«In un mondo per pochi, non c’è posto per nessuno». La scritta campeggia sul muro di una palazzina di Exarchia, il rione popolare di Atene storicamente “regno” degli anarchici greci e di quelli che qui chiamano koukouloforoi, incappucciati, i black block ellenici, considerati i duri del movimento internazionale contro la globalizzazione. Tra il 2009 e il 2010 in Grecia ci sono stati oltre 850 attacchi terroristici, molti dei quali di matrice anarchica, il numero più alto degli ultimi venti anni. Erano in molti a scommettere che il collasso del sistema politico e il crollo di quello economico avrebbe rafforzato chi fa della violenza una pratica politica. E invece no. Nei primi mesi del 2011 gli episodi di violenza sono addirittura diminuiti.
«È successo che la crisi ha smosso le coscienze dei greci», racconta Dimitri Deliolanes, corrispondente dall’Italia della Tv pubblica greca Ert e autore del libro “Come la Grecia” (Fandango Libri), una “guida” ricca di dati e analisi ma di facile lettura indispensabile per capire le origini e gli effetti della crisi greca.
E la riscossa della società civile greca ha mosso i primi passi proprio da quello che è considerato il covo degli anarchici violenti. Da Exarchia, nel 1973, partì la rivolta contro il regime dei Colonnelli. Da qui, nei mesi scorsi, è partita la voglia di riscatto della Grecia. «La prima azione che abbiamo organizzato è stata quella di ripulire il quartiere. Via la spazzatura, via le siringhe e giù con rastrelli e pale per ricostruire le aiuole nei giardini, piantare nuovi alberi, riverniciare le panchine, mettere a nuovo posti in cui la gente può incontrarsi e stare insieme». Chi parla è Elena Papalabrou, 29 anni, un impiego nella ong greca Elix, uno dei volti della nuova Grecia, quella che smesso di piangersi addosso, di puntare l’indice contro i politici, di fornire alibi alla violenza e ha deciso di rimboccarsi le maniche.

Prendersi cura dei luoghi
Elena è uno dei 5 promotori, tre donne e due uomini di età compresa tra i 20 e i 50 anni, di Atenistas, un’associazione nata nel settembre del 2010 per prendersi cura della città. «Siamo un gruppo di persone di tutte le età, dai bambini agli anziani», racconta durante una pausa al tavolino all’aperto di un bar. «Siamo una comunità aperta di cittadini che ama Atene e non intende rassegnarsi al declino. Il nostro obiettivo è tornare a vivere la nostra città, scoprirla, amarla, darsi da fare per migliorarla, renderla più bella e più vivibile. La nostra forza è la forza della società civile, di migliaia di ateniesi che non vogliono arrendersi e intendono fare qualcosa per la loro città. Non siamo politicamente schierati, siamo persone che vogliono condividere la fiducia in un futuro migliore».
Atenistas è organizzata in quattro gruppi che corrispondono ad altrettante aree di intervento: verde, sociale, cultura e accessibilità. Ogni area può contare su una quindicina di volontari che periodicamente scelgono un obiettivo, si organizzano coinvolgendo chiunque abbia voglia di partecipare e i sabato e le domeniche scendono in strada finché non hanno portato a termine la loro missione. In un poco più di un anno hanno ripulito parchi pubblici, fatto rivivere delle biblioteche, organizzato visite a musei e a zone poco conosciute della città, raccolto indumenti e cibo distribuiti ai senza tetto.
L’esperienza di Atenistas ha contagiato il resto del Paese. In molte città e isole sono nate, e continuano a nascere associazioni, che riescono a intercettare questa ritrovata voglia di prendersi cura dei luoghi in cui vivere senza aspettare che sia qualcun altro a farlo. «In Grecia stiamo facendo i conti con gli errori del passato», ammette Deliolanes. «Per anni abbiamo vissuto nell’inganno, in un Paese diverso da quello reale. Il pubblico impiego, che occupa quasi la metà dei lavoratori dipendenti è stato utilizzato dai politici come fabbrica di consenso, il divieto di licenziare un dipendente pubblico è sancito dalla Costituzione. Una politica del credito dissennata ci ha permesso di vivere a lungo al di sopra delle nostre possibilità. Abbiamo il primato europeo dell’economia sommersa, per non parlare della corruzione»
Ma tra le tante cose negative ci sono anche segnali incoraggianti. Quando è scoppiata la crisi Dimitri è tornato per un mese ad Atene per capire da vicino cosa stavo accadendo. «Ho passato giornate intere a piazza Syntagma, epicentro della protesta degli indignati greci. La cosa che mi ha più colpito è stata la gentilezza, le buone maniere di chi era lì per protestare. La gente era scesa in piazza non per sfasciare ma per costruire una nuova Grecia su presupposti diversi da quelli del passato. Si protestava per reclamare dignità, la dignità di essere trattati da cittadini. Una dignità che i greci non intendono più solo reclamare ma che, ed è qui la grande novità, vogliono conquistare insieme mettendosi in gioco, agendo in prima persona per ricostruire un Paese che sia di tutti e dove ci sia posto per ciascuno».

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