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O il Kosovo, o l’Europa Il dilemma di Belgrado

di Redazione

Il braccio di ferro tra Belgrado, capitale della Serbia, e Pristina, capitale del Kosovo, ancora sotto tutela delle forze militari UE, continua. È stato raggiunto però un accordo a Bruxelles per permettere alla Serbia di essere un candidato con i requisiti d’accesso all’Unione Europea, e al Kosovo di partecipare ai forum regionali dei Balcani come “regione”, come menziona la risoluzione dell’Onu 1244 del 1999 e la sentenza della Corte Internazionale, che nel 2010 ha riconosciuto legale la dichiarazione di indipendenza di Pristina. «Ciò non implica il riconoscimento da parte serba del Kosovo, ma è un decisivo passo avanti», ha dichiarato il Commissario Ue all’allargamento, Stefan Fule. L’accordo è stato stretto dopo lo scambio di battute tra Angela Merkel e il presidente serbo Boris Thadic. «Sia l’Europa che il Kosovo», ha risposto il presidente serbo al premier tedesco, che intimava di rinunciare per sempre al Kosovo in cambio della candidatura all’Ue. «È una decisione per l’integrazione, non per l’isolamento del Kosovo», dichiara invece Thaci, presidente dello Stato di Pristina: secondo il recente patto, infatti, il Kosovo rimarrà sotto protettorato occidentale, ma farà anche parte della macroregione balcanica. Non la pensano così invece i serbi che ancora vivono in Kosovo, ancora vittime di omicidi etnici e discriminazione religiosa: «Belgrado, per entrare in Europa, vuole nascondere questo problema sotto il tappeto». A Mitrovica, epicentro della protesta dei kosovari serbi, quasi terza capitale a metà strada tra Pristina e Belgrado, la pace è lontana. I quasi 300mila serbi che vivono qui hanno indetto un referendum per accettare o meno le istituzioni albanesi del Kosovo: il risultato è stato più che chiaro, il 99% ha risposto no. Le barricate impediscono ancora, da luglio scorso, ai militari Kfor e alle forze armate Ue l’ingresso nel Kosovo settentrionale.

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