Mondo
Obama, il leader inatteso
La nostra corrispondente dagli Sati Uniti racconta quale attese ha acceso l'arrivo del primo uomo con la pelle scura che entrerà alla Casa Bianca
di Redazione

di Alessandra Marseglia
I lettori di Vita.it perdoneranno l’autoreferenzialità, ma capita raramente nella vita di avere la sensazione di essere prediletti dal fato. Per un giornalista, il più delle volte questa sensazione coincide con la possibilità di essere testimoni di un evento importante che cambierà la vita di molte persone: l’arrivo alla Casa Bianca, per la prima volta, di un presdiente con la pelle scura.
Questo mio primo anno di vita americana è coinciso con l’infuocarsi della campagna elettorale. Devo dire onestamente di essermi subito appassionata al personaggio Obama. Ho assistito al nascere della sua stella, ho registrato le sue titubanze e il sospetto che si è accumulato intorno a lui, ho seguito la campagna feroce contro Hillary Clinton e la sua vittoria della candidatura democratica. Poi la corsa veloce verso la Casa Bianca, il carisma innato cui si è aggiunta la sicurezza conquistata, mentre Bush e Wall Street riducevano in polpette l’economia e molti americani si ritrovavano senza casa, senza lavoro e con poche speranze.
Soprattutto di questo anno posso testimoniare l’entusiasmo della gente, le migliaia di email scambiate tra i volontari per Obama, il loro lavoro per convincere gli indecisi, la paura della vigilia e la gioia per la vittoria. Posso dire di aver conosciuto una faccia nuova degli Usa, un’altra America, come recita il titolo di questa rubrica, diversa da quella che con il nostro piglio Europeo spesso liquidiamo facilmente come grassa, ignorante, e imperialista. Ho incontrato persone che parlavano di speranza e pace nel mondo e altre che più concretamente cercavano risposte alle questioni della sanità, delle pensioni, dell’immigrazione.
Per la maggior parte di loro, Obama è stata la risposta. Ora per questo giovane Presidente le aspettative sono altissime, come altissime sono state le promesse.
Ma per oggi, Obama fa la storia. È il primo Presidente Afro-Americano d’America, a meno di 50 anni dalla fine della segregazione razziale in America. Nel 1961, quando veniva al mondo, in 15 Stati degli Usa il matrimonio tra i suoi genitori, una bianca e un afro-americano, non era riconosciuto e i due non avrebbero potuto nemmeno sedersi vicini su un autobus. Il Civil Rights Act che sancì la fine del razzismo in Usa fu firmato solo tre anni dopo, nel 1964.
Tuttavia, la vittoria di Obama non appartiene solo alla comunità nera, piuttosto è la testimonianza di quello che l’America è sempre stata dalla sua fondazione, la terra dove le culture si incontrano e danno vita a nuove opportunità. Oggi gli americani sono bianchi, neri, gialli, con gli occhi, a mandorla e i capelli crespi. Moltissime volte tutte queste cose tutte insieme, virtuosamente, splendidamente e orgogliosamente meticci. Meticci come Obama, appunto.
Negli ultimi anni, una crisi culturale ha aniticipato e forse in parte causato la crisi economica. L’arroganza yankee rappresentata dalla guerra, il capitalismo sfrenato, la mancanza di rispetto per i poveri, i disoccupati, le persone senza assicurazione medica sono la faccia di un’America chiusa, debole, senza speranze.
Oggi con Obama l’America ribadisce il suo credo nel melting pot, l’idea che dall’unione di esperienze, tradizioni, culture diverse può nascere un Paese politicamente più forte, tecnologicamente più innovativo economicamente più competitivo.
Con il suo primo Presidente meticcio, l’America è pronta ripartire. Sotto i miei occhi.
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