Mondo
Obama invia ambasciatore alla cerimonia commemorativa
Il 6 agosto 1945 la bomba atomica sulla città giapponese
di Redazione
Il 6 agosto del 1945 alle 8.15 il bombardiere americano B-29 Enola Gay sganciò sulla città giapponese di Hiroshima, centro di 350mila abitanti a 700 chilometri da Tokyo, la bomba atomica. L’esplosione, avvenuta a 580 metri di quota, rase al suolo il 90% degli edifici, uccidendo sul colpo almeno 70mila persone e provocando la morte di altri 80mila che persero la vita nei mesi successivi per le ustioni e per gli effetti delle radiazioni. Tre giorni dopo, il 9 agosto, un’altra bomba fu sganciata su Nagasaki, dove morirono carbonizzate 70mila persone. Il 15 agosto l’Impero giapponese firmò la resa incondizionata, ponendo ufficialmente fine alla Seconda Guerra mondiale. L’utilizzo dell’arma atomica, impiegata per la prima volta durante un conflitto, fu giustificato dagli Stati Uniti con la necessità di porre rapidamente fine al conflitto ed evitare un’invasione del Giappone, che avrebbe avuto un costo di vite umane di gran lunga superiore a quello provocato dalle esplosioni nucleari. Ben presto, tuttavia, cominciò a farsi largo l’idea che il ricorso alle armi atomiche fosse stata una deprecabile brutalità. I primi statunitensi a raggiungere Hiroshima – uomini dei servizi segreti, scienziati e giornalisti – si trovarono di fronte lo scenario apocalittico di una città fantasma, che descrissero attraverso le immagini di migliaia di persone ammassate in baracche semidistrutte che tossivano, urinavano sangue e perdevano i capelli a ciocche. Lo scrittore e giornalista John Hersey, tra i primi a raggiungere Hiroshima, realizzò un efficace reportage sulle condizioni di vita di sei sopravvissuti, pubblicato a puntate nel 1946 sul New Yorker e raccolto l’anno successivo in un unico volume dal titolo ‘Hiroshimà. Contemporaneamente, l’esercito americano pubblicava un’indagine sul Bombardamento Strategico dopo aver intervistato centinaia di militari e civili giapponesi nei mesi successivi alla resa, giungendo alla conclusione che «certamente prima del 31 dicembre 1945, e con tutta probabilità prima del primo novembre 1945, il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state sganciate, anche se la Russia non fosse entrata in guerra, e anche se nessuna invasione fosse stata pianificata o contemplata».
Sebbene, a distanza di decenni, gli storici siano ancora discordi sull’effettiva necessità di ricorrere alle armi nucleari per porre fine alla guerra, gli Usa non hanno mai ritrattato ufficialmente la loro posizione sulle scelte dell’agosto 1945. La decisione dell’amministrazione Obama di inviare l’ambasciatore americano in Giappone alla cerimonia di commemorazione per le vittime di Hiroshima è stata però salutata come un importante segnale di cambiamento. I superstiti dei bombardamenti atomici continuano tuttavia ad aspettarsi una richiesta di scuse ufficiali da parte del governo americano. «Chiedere scusa è la cosa migliore che potrebbero fare, ma dubito che ciò avverrà», ha dichiarato Terumi Tanaka, sopravvissuto al bombardamento di Nagasaki quando aveva appena 13 anni e oggi segretario generale della confederazione nipponica delle associazioni dei superstiti. «Accogliamo di buon grado la visita, ma senza una richiesta di scuse è difficile per noi», ha aggiunto Tanaka. «Non chiediamo nessun risarcimento, vogliamo solo che gli Stati Uniti chiedano scusa e si liberino del loro arsenale nucleare». La pensa così anche Yasunari Fujimoto, segretario generale del Congresso giapponese contro le bombe A e H: «Non credo che sia irragionevole aspettarsi delle scuse, ma ciò che conta ora è che gli Stati Uniti siano rappresentati, che le sofferenze delle vittime saranno riconosciute e che il processo di disarmo nucleare ne tragga un impulso».
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