Mondo
Obiettivo decentramento, per una cooperazione “in loco”
L'ong presente in 25 Paesi consolida il suo rapporto con l'Africa e guarda ai fondi privati
di Redazione

Meno Paesi, più presenza nelle aree di intervento. E una più incisiva
capacità di intervenire nelle situazioni di emergenza: «Puntiamo a dare sempre più importanza alle realtà locali con cui collaboriamo»Parola d’ordine: decentramento. È la scelta che ha caratterizzato nel 2008 l’attività di Coopi – Cooperazione internazionale, una delle più solide organizzazioni non governative italiane, con un budget di 34 milioni annui e 150 progetti di sviluppo in 25 Paesi del mondo. «Al momento abbiamo 180 cooperanti espatriati impegnati sul terreno nei Paesi in via di sviluppo», afferma il direttore Ennio Miccoli, «e la linea che ci siamo dati per il futuro è quella di creare coordinamenti nazionali e regionali direttamente nelle aree in cui siamo presenti, piuttosto che continuare a dirigere i programmi dalla sede di Milano. È una scelta di tipo organizzativo ma anche culturale, che ha l’obiettivo di dare sempre più importanza alle realtà locali con cui collaboriamo». Nel 2008 Coopi ha concentrato gli interventi di cooperazione in un numero minore di Paesi rispetto al passato: «Da 32 paesi siamo passati a 25. Abbiamo deciso di consolidare la nostra presenza nei Paesi che conosciamo meglio. E abbiamo privilegiato l’Africa», spiega Miccoli.
Fino a tre anni fa i progetti di Coopi all’estero erano per il 60% di cooperazione allo sviluppo e per il 40 di emergenza, oggi la percentuale è invertita: «Ci siamo strutturati per diventare subito operativi in caso di guerre o calamità naturali. In alcuni Paesi teatro di crisi, come la Repubblica democratica del Congo o il Ciad, siamo presenti da decenni». Di recente Coopi ha dato vita, insieme ad altre 11 ong italiane, al coordinamento Agire, un network nazionale per le emergenze che fa raccolta fondi in caso di crisi umanitarie. «Uno degli indirizzi strategici della nostra ong è aumentare i fondi provenienti da privati, che per ora rappresentano circa il 7% del nostro budget», spiega Miccoli. «L’obiettivo è poter attuare dei programmi di cooperazione con criteri più nostri rispetto ai progetti finanziati da partner istituzionali, che devono rispondere a linee già decise da altri». Una scelta, quella di diversificare le fonti di finanziamento, legata anche alla sempre minore disponibilità da parte di fondi da parte del ministero degli Affari esteri. La voce “Mae” rappresenta meno del 10% delle entrate di Coopi, «il nostro principale finanziatore è l’Unione europea».
Le sfide per il futuro di Coopi? «Tra le tante c’è il co-sviluppo», afferma Miccoli, «ovvero dei programmi di sviluppo in collaborazione con immigrati che provengono dai Paesi africani in cui siamo presenti. Abbiamo avviato rapporti con associazioni di senegalesi e marocchini qui in Italia e li abbiamo messe in contatto con le ong con cui collaboriamo in Senegal e Marocco. L’obiettivo è supportare e integrare una parte delle rimesse degli immigrati in modo da trasformarle in investimenti e progetti di sviluppo».
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