Welfare

Ong, la povertà ora si combatte in casa

Le due big della solidarietà in campo a fianco degli indigenti inglesi. «Ma questo impegno non ridurrà i fondi per il Sud del mondo», rassicurano gli attivisti

di Redazione

Sotto casa. La primavera ha portato agli inglesi una notizia choc: la povertà, quella da aiuti umanitari e da interventi di emergenza delle ong, non è più roba da Sud del mondo. Ha gli occhi azzurri, le lentiggini e i capelli rossi del ragazzino che il mese scorso ha conquistato la copertina del portale di Save the Children. Accanto a questo titolo: «Aiuti di emergenza per i poveri del Regno Unito». Centocinquantamila sterline (circa 200mila euro) già in distribuzione a 900 famiglie per coprire costi basilari quali riempire il frigo e comprare scarpe ai figli. Perché da gennaio a febbraio 2009 il costo del cibo è aumentato dell’11,3%, portando il 35% dei genitori inglesi a tagliare sulle spese di alimentazione e il 48% dei più poveri tra questi genitori a metter a dieta la famiglia. Percentuali impressionanti ma pur sempre lontanissime da quelle che siamo abituati a sentire per il Sud del mondo?
Sbagliato, dichiara il 7 aprile Collette Marshall, responsabile dei programmi Save the Children per il Regno Unito, agli scettici giornalisti del Guardian: «Quando lavoriamo all’estero, abbiamo a che fare con due forme di malnutrizione, “severe” e “stunting”, la prima riguarda le mamme che non hanno abbastanza cibo in gravidanza e la seconda quella dei bimbi sotto i due anni che non sono nutriti a sufficienza. Ma ora anche qui da noi registriamo il secondo tipo di malnutrizione». Neanche il tempo di digerire la notizia che l’8 aprile a rincarare la dose ci pensa Oxfam. Nel report Close to home. Uk poverty and the economic downturn, l’associazione denuncia l’inadeguatezza del sostegno alle famiglie: il 76% degli adulti infatti considera i 60,50 pound a settimana stanziati per i disoccupati insufficienti per tirare avanti, soprattutto se si ha una famiglia.
Impossibile non chiedersi che effetto potrebbe avere questo nuovo corso dell’aiuto umanitario-domestico sul Sud del mondo. La simultaneità dei report sulla povertà di due delle più famose sigle non profit si spiega, è vero, anche con l’agenda politica inglese che in questi giorni sta discutendo il budget per il prossimo anno e che comunque non intaccherà i fondi per il Sud del mondo. Ma davvero si tratta solo di una mossa di lobby? Il dubbio che, in tempi di crisi e di raccolta fondi sempre più difficile, puntare sulle emergenze di casa propria sia una soluzione possibile, è del tutto legittimo legittimo. Ma, interpellata da Vita, Oxfam esclude qualunque tipo di impatto negativo sui Paesi in via di sviluppo: «Non ci saranno conseguenze per i nostri progetti di lotta alla povertà in Africa», spiega Atonia Bance, deputy director del Programma povertà in UK, «continueremo a destinare alla lotta alla povertà nel Regno Unito l’1% del budget totale di Oxfam. Non stiamo dicendo che le emergenze di casa siano più importanti di quelle all’estero. La nostra campagna di sensibilizzazione sui poveri inglesi è diretta al governo, non ai donatori privati». Vero: sul sito di Oxfam infatti non c’è traccia di raccolte fondi destinate agli indigenti del Regno Unito. Lo stesso, però, non si può dire di Save the Children: dalla prima settimana di aprile ha infatti attivato una raccolta dedicata alle famiglie povere di Londra e dintorni. Organizzazioni non governative che lanciano progetti umanitari a casa propria, in Occidente, sembrano una contraddizione in termini. O, forse, erano una contraddizione per il mondo di ieri, quando la povertà tagliava il globo in due sulla linea dell’equatore.
Oggi la cosa da capire è questa: possono ong nate per fare aiuto allo sviluppo intervenire in un tessuto sociale, e nazionale, così diverso dalla cooperazione internazionale?

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