Mondo
Operazione Colomba in viaggio in Israele
Report generale dell'Operazione Colomba - Viaggio Nord Israele 7-10 agosto 2006
di Redazione
Operazione Colomba, corpo non violento di pace,è presente in diversi conflitti per condividere la sofferenza di chi è vittima, senza distinzione di religione o nazionalità. Già presente nel conflitto Israelo’Palestinese con due progetti in West Bank, colpita da quello che sta accadendo tra Libano e Israele, è in questi giorni anche ad Haifa, per vedere,conoscere e condividere la sofferenza e la paura di chi à sotto i bombardamenti, di chi corre al suono della sirena di allarme per cercare un riparo e ne attende la fine pregando, tremando con la paura nel volto.
Lunedi 7:arrivo a Nazareth
Partiti da Gerusalemme lunedi mattina, prendiamo il bus con meta Afula perchè non ce ne sono diretti a Nazareth. Al punto informazioni dei bus ci informano che il viaggio non è sicuro.Rivediamo tra noi se ci sono ripensamenti, ma nessuno si tira indietro. Il bus è pieno di soldati, nessun turista…anche noi stiamo partendo per la guerra, ma se non fosse per l’ortodosso che legge un giornale pieno di immagini di ciò che stá avvenendo al confine, il clima è tale che sembrerebbe quasi di stare su uno di quei bus che portano le famiglie nelle gite domenicali in Italia. Ad Afula dove scendiamo e dove i Katiuscia hanno centrato per ora campi e strade senza ferire, i soldati sono tanti. Ci informano che è una zona piena di basi militari. Jack ,il taxista che ci porta da Afula a Nazareth ci dice candidamente come se stesse parlando di una partita di calcio, che se ONU ed Europa non intervengono in breve, Israele entro due mesi riuscirà ad uccidere tutti gli Hezbollah, altrimenti la guerra potrebbe finire fra dieci giorni. La guerra intesa come strumento per eliminare una volta per tutte i cosidetti terroristi è un convincimento di tanti… Per assurdo abbiamo avuto modo di sentirlo dire sia da israeliani che dai palestinesi. Pochi qui parlano di pace, molti credono di non avere scelta. Padre Ricardo Bustos, francescano guardiano della Chiesa dell’Annunciazione di Nazareth ci dedica un po’ del suo tempo per spiegarci che cercano volontari per tenere aperta l’unica Chiesa in Terra Santa non condivisa con altri culti. L’ombra della guerra ricompare quando il frate ci parla del danno economico che una città turistica come Nazareth sta subendo in questi giorni. Anche l’Ostello Casanova gestito dai francescani è chiuso come tutte le altre strutture per il turismo, compreso l’ufficio informazioni. Lo Stato di Israele ha chiesto tramite lettera a tutti i commercianti di quantificare l’entità del danno economico, perchè risarcirà i guadagni mancati. Qui la guerra è lontana. Pur essendo la prima città ad essere stata colpita dagli Hezbollah, a Nazareth la gente è tranquilla, non si sentono sirene e se non fosse perchè non ci sono turisti tutto sembrerebbe normale. Trascorriamo la notte ospiti delle Suore di Nazareth
Martedì viaggio ad Haifa
Ancora una volta è la gente a darci le chiavi di lettura della percezione della guerra in nord Israele. L’autista del bus da Nazareth ad Haifa ci dice che lui ora con nessuno in giro guida senza difficoltà sulle strade trafficate della Haifa turistica. Prima impressione della città…desolata…tutti i negozi chiusi, nessun turista in giro..solo tre colombe e qualche lavoratore che stà per la maggior parte del tempo chiuso in ufficio. La municipalità ha chiesto ai cittadini di non uscire da casa se non in caso di grave necessità. Haifa, terza città d’Israele per numero di abitanti,è sopratutto un porto commerciale e turistico intorno al quale si è sviluppato il piú importante centro industriale dello Stato. Intorno è nata una zona industriale nella quale sono sorti gli impianti di raffinazione del petrolio proveniente dal Mar Rosso. La città è suffragata da un vecchio detto secondo il quale a ?Tel Aviv ci si diverte, a Gerusalemme si prega e a Haifa si lavora? Nella città ogni struttura per turisti è chiusa e troviamo ospitalità presso le Suore del Carmelo che ci avvertono però di non avere rifugio.Perdiamo un’ora in attesa di un pullman che non arriva e finalmente in serata siamo dalle Suore. Lì ci raggiunge il Padre Maronita Salim che ci parla della città. Haifa è abitata da 260.000 di cui 230000 ebrei, 9000 mussulmani e 19000 arabi cristiani,un terzo dei quali di culto greco-ortodosso. La comunità dei maroniti non supera le 2000 unità,quella dei protestanti le mille; ma a Haifa,che proprio per questo motivo si è conquistata una fama di città tollerante, hanno trovato rifugio i dissidenti dell’Islam: qui risiedono piú di tremila tra Drusi, seguaci della fede Bahai e ascemiti. Padre Salim discute con noi per quasi due ore e ci consente di avere un’idea piú chiara del contesto. Qui la gente di culti e cultura diversa convive da secoli senza problemi e a noi torna in mente inevitabile il confronto con la realtà della Cisgiordania e di città come Hebron dove i coloni ebrei che vivono ai piani alti dei palazzi, gettano l’immondizia sui palestinesi e non c’è dialogo interculturale nè rispetto della diversità.
Mercoledì 9 agosto 2006 Haifa
Primi 4 allarmi Katiuscia…. Mentre camminiamo per strada arriva il primo allarme Katiuscia. Entriamo in un negozio di generi alimentari dove abbiamo la prima percezione della paura della gente nel volto di una ragazza che spaventata si fà il segno della croce in attesa che la sirena cessi. Ci spiegano che si puó uscire solo dopo 5 minuti dalla fine dell’allarme,perchè i missili sono sparati in serie e tra il primo e l’ultimo vi è uno scarto di tempo. La seconda sirena arriva mentre siamo in visita al Centro di Beit Hagefen Arab Jewish. Questo centro interculturale vede insieme in vari progetti culturali gente di diverso credo e cultura. il terzo allarme arriva dopo la fermata dei bus e troviamo riparo seguendo una coppia con bimba sotto la tettoia di una casa. In realtà i rifugi che troviamo durante i diversi allarmi non sono strutture adibite “ad hoc” ma semplicemente scantinati, sotterranei dei palazzi, zone piú riparate nelle case. Qui ad Haifa l’ufficio del turismo è aperto. Ci accolgono due impiegata, una intorno ai vent’anni e l’altra sui quaranta. Sono molto gentili e parliamo un po`.La piú giovane ci è grata quando viene a conoscere il motivo per cui siamo lì e i propositi di condivisione del progetto ?Operazione Colomba?. L’altra che è madre di un ragazzo che da due mesi ha finito il servizio militare, ci dice invece che all’idea che il figlio sia richiamato per la guerra ha paura, ma esclude l’ipotesi che lui si rifiuti di partire, perchè lo Stato di Israele è piccolo e parla di dovere e di onore a costo del sacrificio della vita. Il capo ufficio che arriva poco dopo vanta la capacità dello Stato di Israele di “andare avanti” senza bisogno di nessuno e di aver organizzato la vita dei cittadini a un’ora dallo scoppio della guerra. Usciti dall’ufficio del turismo con tutte le informazioni che ci servivano per girare piu’ agevolmente la citta’, veniamo fermati per strada da una signora che scopriremo poi essere stata ferita durante lo scoppio del Katiuscia caduto nel giardino delle vicine Suore del Rosario.Si percepisce ancora molta paura per quello che e’ successo e sta succedendo. Ci intratteniamo con lei a parlare per un po’, appare chiaro che non vuole restare sola e che e’ vivo il trauma per essere stata ferita in casa…luogo che considerava sicuro. Segue l’incontro con le Suore del Rosario e la documentazione dei danni da Katiuscia che è caduto nel loro giardino.Passiamo poi a visitare l’ospedale Italiano di Haifa e incontriamo Suor Emanuela che ci racconta il coraggio del personale sanitario che non si assenta per garantire interventi e prestazioni.Solo chi abita ancora piu’ a nord di Haifa a volte non riesce ad arrivare al lavoro. La visita all’Ospedale di Haifa e’ pero’ quella che da’ piu’ senso compiuto al nostro viaggio. Li’ andiamo a trovare Roberto Punzo, capitano dell’aereonautica impegnato nella missione disarmata IFIS dell’ ONU ferito in Libano. Roberto è felice di vederci e di parlare un po’ con noi. Gli parliamo di Operazione Colomba e delle nostre presenze in Kosovo, Palestina e Uganda. Lui ci racconta l’ironia della sorte che ha voluto restasse ferito nella sua prima missione disarmata e che ora lo costringe a letto e ad affrontare altri interventi,con il rischio di non recuperare l’uso delle gambe. Ci racconta il suo stupore nell’osservare la reazione di parenti e amici verso i soldati israeliani feriti, ricoverati nel suo stesso reparto. In una stanza vicino a lui c’è un militare israeliano che avrà si e no 19 anni e che non ha piú le gambe. Intorno a lui non c’è tristezza. Ha servito la Patria e questo sembra essere il piú grande onore per un israeliano. Gli amici suonano la chitarra, portano dolci, palloncini e non c’è tristezza visibile neanche nei parenti. Qui forse è stata la parte piú difficile durante la nostra presenza ad Haifa, perchè siamo andati a visitare i soldati feriti sul fronte e sebbene ? la sofferenza non abbia colore?,la neutralità verso le parti in conflitto è difficile, quando si hanno negli occhi le immagini della popolazione sofferente ferita e uccisa nel sud del Libano. Non si puó fare a meno di pensare a quanto costi in termini di vite umane, credere che l’onore sia imbracciare un fucile per difendere il proprio Paese.
La nostra giornata è continuata con il dialogo di Guido con due giovani Israeliani ex-soldati di fronte al Pronto Soccorso dell’ospedale, che aspettavano amici soldati feriti in Libano. Avevano la visione di un Israele attaccato da terroristi e quindi da difendere, giustificando la guerra e la distruzione di un Paese come prezzo per i due soldati catturati. La nostra presenza li’ in quella situazione pero’ ci ha permesso di essere ?credibili? nonostante fossimo pacifisti, nonviolenti, con progetti in West Bank. E li ha portati a riconoscere che i coloni di Hebron creano molti problemi, a tutti loro israeliani, perche’ rovinano il nome di tutto il popolo. E il racconto della scorta militare a Tuwani per difendere i bambini palestinesi dalla violenza dei coloni e’ stato per loro un momento imbarazzante… sapevano pure dell’ordine di sgombero di Avat Ma’on. La conversazione e’ durata piu’ di un’ora, con obiettivita’ da entrambe le parti, tanto che quando uno di loro voleva appellarsi alla shoah,gli altri due lo han subito fermato chiedendoci scusa. Abbiamo finito con ringraziamenti per il confronto, strette di mano …e gambe levate, aspettandoci i servizi segreti alle spalle…
Giovedì 10 agosto 2006 Haifa
La prima sirena ci ha colti di sorpresa dalle Suore. Erano da poco passate le nove ed eravamo intenti a prepararci per una nuova lunga giornata, chi era in bagno, chi guardava dalla finestra e chi preparava panini. La nostra percezione del rischio in quel momento era molto bassa. La mattina e’ trascorsa a visitare quello che resta delle palazzine colpite dai Katiuscia domenica in cui ci sono stati diversi morti. Il secondo allarme e’ arrivato mentre eravamo nei pressi di un edificio pubblico della citta’. Poteva essere un ufficio INPS con impiegati in pausa caffe’ da una vita. Qui tra noi ha prevalso il desiderio di documentare. La terza sirena ci ha visti cercare rifugio con un poliziotto dentro l’ingresso di un palazzo. L’ultimo allarme e’ stato il piu’ rischioso per il contesto. Camminavamo su uno stradone in zona non abitata, con una rete che ci divideva dalla ferrovia e dall’altra spazio aperto e mentre incrociavamo un distributore di benzina è scattata la sirena. Ci siamo guaardati intorno e non c’era nessun riparo, e mentre Giacomo succeriva di ripararci dietro l’unica palazzina, insieme osservavamo che questa aveva bombole del gas all’esterno e tutte le pareti a vetrate… Se fosse arrivato vicino a noi il Katiuscia probabilmente non ci sarebbe stato scampo… Abbiamo passato dei brutti 5 minuti…
Ripresa del viaggio
Il ritorno a Gerusalemme e’ seguito dalla discussione con una famiglia del Nord che ha lasciato la casa, molto arrabbiata con la stampa internazionale perche’ poco obiettiva e contro Israele… Ci prendono per giornalisti, ma quando gli diciamo che noi al Nord ci siamo andati proprio per la situazione attuale di guerra, e che Israele non ha proprio tutte le ragioni nel conflitto Israelo-Libanese, se ne vanno e non dicono piú niente. Marito e moglie salgono in macchina, sembrano escludere che tra noi ci possa essere dialogo, parlano e ci osservano increduli.. Forse si chiederanno come mai tre giovani e pure stranieri scelgano di andare in guerra per ?condividere le sofferenze della gente che subisce il conflitto?. L’unico spiraglio di dialogo si apre con un signore di mezza età che vorrebbe farci capire perchè Israele in questa guerra è nel giusto. Di nuovo riemerge la convinzione che Israele sia un altra volta da sola a difendersi contro il mondo. Tutti i non Israeliani, se dissentono sono nemici o probabilmente terroristi. L’unico spiraglio di speranza è il giovane del gruppo, che dice che non tutti tra di loro la pensano così e ci chiede di contattarlo via cellulare fra qualche giorno per parlare. E’ possibile un dialogo??!
La percezione dopo questo viaggio è che ad Haifa la gente viva solo l’ombra della guerra, perchè nonostante i morti di domenica e le sirene, la gente sta in casa e se deve andare a lavorare sa dove trovare un riparo. La paura si sente e si vede in alcuni volti come in quello della ragazza che si fa il segno della croce e prega mente aspetta la fine del suono della sirena, o della signora ferita dall’onda d’urto di un missile, che pur di non stare da sola ci ?raccoglie per strada?, ci ospita in casa, ci parla di dieci generazioni della sua famiglia e pur di non lasciarci andar via, ci offre mille cose da mangiare e da bere.
In conclusione, sebbene quattro giorni sotto il tiro dei Katiuscia non possano definirsi una condivisione nel senso piu’ ampio, questo viaggio dentro l’Israele della guerra ci ha aiutato a cogliere aspetti del pensiero degli israeliani che forse prima non ci erano cosi’ chiari.Il desiderio di vivere concretamente la neutralita’ verso le parti in conflitto necessita’ di una concreta proposta di condivisione che forse ora non e’ possibile per la scarsita’ di volontari.
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