Welfare

Ospedali psichiatrici giudiziari

Hanno porte che si aprono solo per l’entrata: «questo è un problema vero. Avendone la possibilità, la competenza andrebbe trasferita alle Asl»

di Redazione

Gli ospiti degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, si chiamano internati e non detenuti. La differenza non è formale. Gli internati infatti, a differenza dei normali detenuti, sanno quando entrano, ma non quando escono. Questo perché la valutazione della durata della loro permanenza non dipende dal tipo di reato commesso, ma, al contrario, dalla pericolosità della persona. Spiega Lorenzo Toresini, primario dei Servizi di salute mentale a Merano: «Quello della pericolosità è un elemento soggettivo, che dipende dalla situazione, dalla persona cui si riferisce e dalla persona chiamata ad esprimere la valutazione in merito». E aggiunge: «In carcere il detenuto ha la possibilità di procedere in appello oppure di rivolgersi alla Cassazione, negli Opg questo non avviene perché l?articolo 222 del codice di procedura penale prevede misure di sicurezza legale alla pericolosità».

Attualmente nei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli Sant?Eframo e Reggio Emilia) vivono 1.368 persone (dato riferito a fine 2006). Il 60% di loro è affetto da patologia psicotica, il restante ha gravi disturbi. «Malgrado ciò gli Opg sono luoghi gestiti dall?amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, non da quello della Sanità e presentano un?organizzazione che appare pesantemente condizionata dalle caratteristiche del luogo di pena e non di quello di cura», ha scritto in un intervento pubblicato sul numero di dicembre del mensile Communitas lo psichiatra Franco Scarpa, dal 1986 direttore dell?Opg di Montelupo Fiorentino. Spesso i casi degli internati salgono alla ribalta della cronaca. Ferdinando Carretta, per esempio, che nell?agosto dell?89 sterminò padre, madre e fratello. Molti altri rimangono nell?ombra. Il professor Antonino Calogero, psichiatra e direttore a Castiglione delle Stiviere, in un recente convegno tenuto ad Aversa ha tracciato la tipologia degli internati nel suo istituto. Il 71% dei reati rappresentati sono contro la persona. Il 43% dei 221 pazienti aveva commesso reati in famiglia. «In questo campione», spiega il direttore, «i soggetti affetti da schizofrenia e sindromi deliranti sono il 74%, il 15% soffre di disturbi della personalità, l?8% di sindromi affettive gravi, l?1% da ritardo mentale e il 2% di psicosi indotte da alcol o sostanze stupefacenti».

A Castiglione delle Stiviere, in questo senso un osservatorio privilegiato anche perché ospita l?unica sezione femminile, la tipologia dei reati in famiglia vede al primo posto l?omicidio con il 47% dei casi. I reati sessuali sono invece solo il 3%. Per entrambi i sessi è la madre la vittima maggiormente designata. I figli e il coniuge sono invece vittime decisamente più ricorrenti nel caso di reati compiuti da donne: l?83% contro il 17 nel primo caso e 75% contro il 25 nel secondo.

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