Cultura
Pacchetto sicurezza, la Caritas incontra Maroni
Una delegazione al Viminale su richiesta del ministro stesso. È' stato presentato un documento dove si dice che «limmagine restituita dai media circa la realtà dei romeni e dei rom in Italia è pes
di Redazione
Una delegazioe di Caritas Italiana (composta dal direttore, monsignor Vittorio Nozza, dal vicedirettore e responsabile dell’Area nazionale, Francesco Marsico, e dal responsabile dell’Ufficio immigrazione, Oliviero Forti) ha presentato al ministro degli interni, onorevole Roberto Maroni, in occasone del colloquio, sollecitato dal Viminale, sul tema della sicurezza. Ecco uno stralcio del documento presentato a Maroni.
«Riteniamo che l?adozione di qualsiasi scelta politica su un tema così delicato debba essere ispirata da un realismo che miri a risolvere questioni e non a inasprirle, pur nella consapevolezza che alcune volte occorre assumere una posizione decisa per tentare di superarle.
Un realismo che si dovrà sostanziare nell?adozione di misure non solo ritenute efficaci nelle intenzioni, ma anche e soprattutto percorribili nei fatti e durature, in un quadro di valori ritenuti irrinunciabili a partire dal rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Questo, evidentemente, implica che le future scelte politiche non possano oltrepassare, né muoversi in maniera dissonante o potenzialmente contraria, ai principi cardine dell?ordinamento nazionale e internazionale.
Con riferimento alla proposte emerse in questi giorni circa l?approvazione di un decreto contenente misure volte a intervenire sul tema della sicurezza, vogliamo evidenziare i seguenti spunti di riflessione e confronto:
sull?ipotesi di prevedere il reato di immigrazione clandestina, ribadiamo la nostra contrarietà, come già sostenuto nel 2002, all?epoca della discussione per la riforma del T.U. n. 286/98 intervenuta successivamente con la l. Bossi-Fini. Si tratta di una misura sproporzionata rispetto alla condotta, che abbassa eccessivamente la soglia di intervento penale fino a ricomprendere fra i delitti mere forme di irregolarità amministrativa. Peraltro, una previsione di questo tipo ha come presupposto che ad ogni clandestino corrisponda un criminale, circostanza non avallata dalla realtà dei fatti né dai dati disponibili. Inoltre l?esperienza sul campo non depone a favore della capacità dissuasiva di un simile intervento penale: i fattori di spinta delle migrazioni non verrebbero scoraggiati mentre invece si ingolferebbe il sistema giudiziario e carcerario, a discapito di questioni di maggior rilievo. È fatto noto che i ritardi della nostra giustizia sono già stati oggetto di censura e sanzione da parte dall?Unione europea, così come la mancata regolamentazione legislativa della condizione dei richiedenti asilo non fa onore al nostro Paese, nonostante pratiche di accoglienza consolidate e organizzate.
La previsione di allungare il periodo di trattenimento nei CPT fino a 18 mesi contrasta con la posizione più volte espressa da Caritas Italiana e contenuta nelle conclusioni del Rapporto De Mistura, ovvero di andare verso il graduale superamento di questi centri nell?ottica di una migliore gestione del fenomeno. In questo senso, l?eccessivo allungamento dei tempi, oltre a risultare troppo dispendioso, appare configurare una forma di detenzione, impropria rispetto alla loro prima finalità: quella di consentire l?individuazione e il successivo rimpatrio dei cittadini stranieri irregolari. Inoltre un?operazione di questo tipo implicherebbe un investimento economico notevole che determinerà nuovamente lo spostamento delle risorse economiche destinate all?integrazione verso un?attività di contrasto e di controllo già censurata a più riprese dalla Corte dei Conti.
Il rafforzamento dei rapporti con i paesi d?origine degli immigrati residenti in Italia è un obiettivo prioritario che potrà dare risultati migliori rispetto al potenziamento delle misure di controllo dei confini marittimi che, pur necessarie, non sono riuscite a prevenire le tragedie del mare purtroppo ancora frequenti.
La revisione, in senso restrittivo, dell?istituto del ricongiungimento familiare non va invece, a nostro avviso, nella giusta direzione, non solo perché illegittima ? in quanto contrasterebbe con la direttiva europea che ha già determinato la modifica della legge Bossi-Fini ? ma anche perché la famiglia costituisce il cardine più importante del radicamento sul territorio. Ostacolare i ricongiungimenti familiari significa creare nuovi ostacoli al corretto inserimento degli immigrati. Preme ricordare come il Santo Padre ha auspicato che «si giunga presto ad una gestione bilanciata dei flussi migratori (…) cominciando con misure concrete che favoriscano l’emigrazione regolare e i ricongiungimenti familiari». E, in piena sintonia con queste parole, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo messaggio dello scorso 30 ottobre alla Presidenza del Dossier Caritas-Migrantes, ha auspicato «una politica di apertura verso l?immigrazione regolare e di integrazione nel quadro dei diritti e delle regole del nostro sistema democratico».
In conclusione, appare prioritaria l?esigenza di non inasprire ulteriormente il clima intorno al problema sicurezza, altrimenti il rischio è quello di una deriva incontrollata, soprattutto verso alcune nazionalità. A questo proposito l?immagine restituita dai media circa la realtà dei romeni e dei rom in Italia è pesantemente fuorviante in quanto lega alle attività criminali di una minoranza, il destino della stragrande maggioranza dei cittadini romeni che vivono e lavorano nel nostro paese in un clima di reciproca fiducia.
A nostro avviso va fatto lo sforzo di segnalare la possibilità di strategie diverse ? che in parte sono già patrimonio, esperienze, sperimentazioni in atto dei soggetti sociali impegnati sul fronte della marginalità ? elaborando alcuni criteri e forme di intervento realizzabili. Se prendiamo il caso della tratta di esseri umani non possiamo non segnalare l?iniziale incapacità istituzionale a farsi minimamente carico del problema: per anni non ?la tolleranza zero?, ma la vera e propria omissione ? anche nel caso dello sfruttamento sessuale di ragazze minorenni ? è stata la normale attività di contrasto delle forze dell?ordine a livello nazionale. A fronte di un impegno significativo e crescente delle esperienze del volontariato e della cooperazione sociale.
Quindi il coinvolgimento delle comunità locali nell?individuazione e nella condivisione di strumenti idonei a superare quelle criticità che connotano alcuni ambiti territoriali è auspicabile, nella misura in cui assurga a contesto di promozione di quei percorsi di inclusione sociale nei quali Caritas Italiana e le Caritas diocesane credono profondamente e per i quali prestano sin d?ora la loro collaborazione.
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