Mondo
Padre Bossi, il gigante schivo
Il missionario del Pime era stato rapito nelle Filippine nell'estate del 2007. Oggi i funerali
di Redazione

Nell'estate del 2007, per 39 giorni padre Giancarlo Bossi era stato rapito da undici guerriglieri musulmani, a Mindanao. La sua foto gigante era stata appesa al Campidoglio. A settembre, il Papa lo aveva voluto a Loreto, a parlare all'Agorà dei giovani italiani. Per tutti era "il gigante buono". Padre Bossi è morto domenica scorsa, a 62 anni: oggi si terranno i funerali. Schivo, si era aperto con Gerolamo Fazzini, direttore di Mondo e Missione, la rivista del Pime. Ne uscì un libro: «Rapito. Quaranta giorni con i ribelli, una vita nelle mani di Dio». In quell'occasione Fazzini lo intervisò anche per Vita. Ecco uno stralcio di quell'intervista, in cui disse che «un'esposizione mediatica eccessiva è contro il Vangelo».
L'esperienza del rapimento ti ha costretto a “uscire allo scoperto" ben oltre le tue previsioni. Come hai vissuto la notorietà che ti è piombata addosso, tuo malgrado?
Giancarlo Bossi: Con molta fatica. Mi ha pesato molto il fatto che tutti si aspettassero da me qualche dichiarazione, una battuta, una riflessione. Spesso non sapevo cosa dire. Non ero preparato a tutta questa improvvisa notorietà: non appartiene per nulla al mio stile. Ho fatto fatica anche a rilasciare una serie di interviste e a convincermi dell'idea di un libro su di me. La mia esperienza è che più lavori nel segreto, meglio è. Quando esci in pubblico, è come una bomba che scoppia.
Eppure, nelle settimane successive al rientro in Italia hai rilasciato diverse interviste, sei stato contattato da radio, tv e giornali…
Ripeto: l'ho fatto con notevole fatica. Se ho accettato di parlare di me, l'ho fatto soltanto per una convinzione maturata gradualmente. Come ho spiegato a Loreto, a me non piace essere in prima fila. Ma ho capito che in questo momento sono chiamato a dar voce a tutti quelli che nel silenzio testimoniano il Vangelo, si prendono cura dei fratelli, costruiscono nel piccolo un mondo più giusto e solidale… Sono diventato “mediatico", ma vorrei tornare prima possibile alla mia tranquillità. Ho paura di sentirmi gli occhi addosso quando tornerò nelle Filippine.
Il guaio dell'eccesso di pudore di tanti missionari, volontari ecc. talvolta fa sì che l'opinione pubblica scopra personaggi meravigliosi solo dopo la loro morte. Penso ad Annalena Tonelli o a Carlo Urbani, il medico ucciso dalla Sars.
Bossi: Ho letto la bellissima testimonianza di Annalena e quella altrettanto forte di Urbani. Quando uno diventa famoso dopo la morte rivela quante persone ci sono nascoste dietro di lui. La Tonelli aveva parlato tutta la vita con un certo stile, ma lo si è conosciuto solo dopo la morte. Tante volte non ci accorgiamo del bene che c'è già.
Tu stesso hai detto: «Ho fatto un casino, speriamo sia servito. Quella frase è passata alla storia perché il Tg1 ci ha ricamato un servizio in cui la notizia era lo “sdoganamento" di un termine un tempo censurabile?
Bossi: (Ride) Sì, ne sono convinto. Da un fatto negativo – come il sequestro – il Signore ha tratto cose positive. Speriamo solo che quanti si sono avvicinati o riavvicinati al Signore in quell'occasione siano rimasti anche dopo, passata l'onda delle emozioni e dei buoni sentimenti.
È possibile coniugare il «Non sappia la tua destra cosa fa la sinistra» con l'altrettanto evangelico «Gridatelo dai tetti»?
Sì. Però Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli: «Quando tutti parleranno bene di voi?». Il Vangelo è una parola esigente e io credo che comunque un'esposizione mediatica eccessiva sia contro il Vangelo.
Nei giorni della tua liberazione, su una rivista culturale italiana, Reset, è uscito un editoriale a firma del direttore Giancarlo Borsetti dal titolo «Missionari pericolosi». Diceva che nelle relazioni tra le culture, le identità e le patrie lo spirito missionario è inaccettabile anche a piccole dosi: esso scatena conflitti. Condividi questa lettura?
Bossi: Per nulla. Il missionario per me è uno che tenta di vivere, con la gente in mezzo alla quale sta, i valori del Vangelo. Senza imporli. È lì per testimoniare Cristo. Punto e basta. L'atteggiamento di fondo non è quello di chi riempie un vuoto, ma di chi si mette in cammino insieme verso un Altro. Se c'è una cosa che posso dire, è che nella mia vita di missionario ho sempre imparato, più che insegnato.
Appena dopo la tua liberazione, tornato a Payao, hai invitato la tua gente a continuare il dialogo con i musulmani. Perché?
Bossi: Perché il dialogo, dopo il rapimento, rischiava di interrompersi. La situazione è sempre sul filo del rasoio e basta poco per farla precipitare. Nel caso del mio rapimento non c'entravano questioni religiose ma solo questioni economiche. Punto e basta.
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