Mondo
Padre Kizito Sesana vince il premio per la Pace
Il riconoscimento al sacerdote missionario di Lecco che si è impegnato in Zambia, Kenya e Uganda
di Redazione

Un premio per le sue battaglie sui diritti umani, in favore della giustizia e della democrazia, a sostegno della pace e della comunione tra i popoli, del loro affrancamento da povertà, ignoranza, sfruttamento. Tutto questo e molto di più è il premio per la pace riconosciuto da Regione Lombardia a padre Renato “Kizito” Sesana. Premio, quest'anno, andato anche al padre gesuita Paolo Dall'Oglio e all'imprenditrice monzese Selene Biffi.
Un sacerdote missionario lecchese che ormai è identificato come il prete degli ultimi, di chi non ha voce, di chi grida ma non viene ascoltato. Lui, invece, le popolazioni dello Zambia prima e del Kenya poi le ha sempre non solo ascoltate ma assecondate, vissute, accompagnate nel loro percorso di vita.
Il premio a padre Renato Sesana, nato a Lecco, ordinato sacerdote nel 1970, e che assunse il nome di Kizito, in onore di uno dei santi martiri dell'Uganda ha una motivazione ufficiale. La seguente: «Con l'intenso lavoro svolto in Africa in oltre trent'anni di lotte per la giustizia, per i diritti umani, per la democrazia e la pace, è impegnato a sostenere un dialogo costruttivo, il rispetto reciproco tra i popoli, a garanzia di condizioni di vita dignitose per tutti. Missionario dal 1977, ha iniziato l'attività in Zambia e, successivamente, a Nairobi(Kenya), ha fondato la Comunità Koinonia. È socio fondatore della ong Amani Onlus di Milano, che opera a favore dei bambini di strada».
In occasione del riconoscimento il sacerdote ha voluto scrivere una lettera. Eccola in versione integrale:
«Vorrei che attraverso me questo riconoscimento raggiungesse tutti gli operatori di pace, particolarmente i più piccoli e sconosciuti, di Nairobi. Io sono solo un canale di comunicazione, uno dei tantissimi, fra la Regione Lombardia e il mondo.
Questo premio nasce nella regione della mia gente, dei miei genitori, di coloro che mi hanno trasmesso con l'esempio quotidiano i valori della dedizione, del lavoro, del sacrificio, dell'onestà e semplicità di vita, della generosità, del rispetto e servizio ai deboli e ai più poveri. Su questi valori ho poi giocato la mia vita, quando Gesù, in riva al lago, mi ha invitato a seguirlo “fino ai confini delle terra”. Pur consapevole delle mie insufficienze, non me ne sono mai pentito, neanche nei momenti più bui. Ho sempre ringraziato Dio di avermi chiamato ad aprirmi agli altri, al mondo intero, per lavorare umilmente, insieme a milioni al altre persone, alla crescita di un popolo nuovo.
Il riconoscimento della bontà delle radici da cui provengo sarebbe comunque un atteggiamento insensato se non riconoscessi i valori del mondo lontano che mi ha stimolato a diventare sempre più umano, quello delle genti d'Africa.
Con loro ho imparato a sentirmi fratello di tutti, e con gioia oggi mi riconosco fratello con l'africano immigrato a Lecco. Abbiamo fatto il percorso inverso, per affermare in modi diversi lo stesso diritto di essere a casa in tutto il mondo. La nostra condivisa umanità ci unisce ben al di la delle cose che potrebbero dividerci.
Quando ritorno a Lecco e mi capita di prendere al mattino presto un treno per andare a Bergamo, a Brescia, a Milano, mi sembra di essere ritornato a quando prendevo il treno per andare a lavorare a Mandello. Oggi su quei treni del primo mattino ci sono ormai persone provenienti da tutto il mondo che fanno funzionare l'economia alla cui costruzione hanno partecipato i miei nonni. C'è una continuità e una comunione che sono invisibili solo a chi non vuol vedere.
La solidarietà non è tale se non è aperta a tutti, sempre e dovunque. I confini della solidarietà sono i confini dell'umanità. La crisi economica che stiamo vivendo non può essere forse letta come un invito a vivere più fraternità, abbandonando la posizione di privilegio, e di sfruttamento degli altri, in cui la storia ci ha messo? Oggi dobbiamo accettare che se veramente vogliamo giustizia e solidarietà non possiamo che volerle per tutti, senza confini.
In questi anni a Nairobi ho imparato anche che se voglio crescere, devo lasciare che siano i bambini a indicarmi la strada. Loro a momenti sembrano vivere in un mondo quasi di sogno, dove solo amare e essere amati conta, ma poi sono capaci di straordinaria concretezza. Ho chiesto ieri a un gruppo di bambini appena riscattati dalla vita di strada a Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi, che oggi vivono in una casa di prima accoglienza, qual'è il momento della giornata in cui si sentono più in pace. Ho detto che la loro risposta mi sarebbe servita a spiegare a persone che vivono lontane cos'è la pace a Nairobi. La risposta di Ismail, sette anni, è stata: “Quanto mangiamo insieme, e non dobbiamo litigare per arraffare un po di cibo in più. C'è cibo per tutti, e lo condividiamo”.
In Ismail c'è tutto il mistero dello spirito incarnato che è la persona umana, il suo presente e l'eterno che è già in lui. Con Ismail e gli altri come lui non si può idealizzare la povertà, ma proporre la comunione. I beni hanno senso soltanto se sono segni e strumenti di fraternità. Solo così la vita è vissuta nella verità: dono e condivisione con gli altri.
Scriveva Don Primo Mazzolari: Bisogna dar tutto e presto, perché la giornata è breve e le creature hanno tanto bisogno di un po d'amore. Non c'è gusto seppellirci nel cuore il dono di Dio per restituirglielo intero».
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