Meeting 2025
Papa Leone, quello sguardo privilegiato all’Algeria
«Una storia di dialogo della vita e non di auto-affermazione». Così nel suo messaggio Prevost mette al centro il modello della chiesa algerina, oggetto della mostra più significativa dell’edizione di quest’anno a Rimini. Storia di 19 religiosi uccisi negli anni Novanta e della loro amicizia con il popolo di fede musulmana

Il Meeting di Rimini 2025 è iniziato all’insegna di un grande messaggio e di una grande storia.
Il messaggio è quello inviato da papa Leone XVI, il quale nel suo testo fa riferimento ad una storia che è oggetto della mostra più significativa tra le proposte dall’edizione di quest’anno: la vicenda di 19 religiose e religiosi che in Algeria, negli anni Novanta, hanno pagato con la loro vita la scelta di restare a fianco della popolazione, nonostante l’incombere delle minacce del fondamentalismo islamico. Fra il 1992 e il 2002 il terrorismo aveva colpito l’Algeria facendo 150mila vittime tra cui molti imam, che persero la loro vita per aver rifiutato di giustificare la violenza. Fra le vittime ci sono i diciannove martiri cristiani, beatificati da Bergoglio nel 2018. In loro, dice Leone XVI «risplende la vocazione della Chiesa ad abitare il deserto in profonda comunione con l’intera umanità, superando i muri di diffidenza che contrappongono le religioni».
La storia dei 19 martiri affonda le sue radici nell’opzione dell’arcivescovo di Algeri, Lèon-Etienne Duval, il quale in occasione della guerra di indipendenza si era pronunciato in favore dell’autodeterminazione del popolo algerino e per questo in Europa era stato apostrofato polemicamente come “Mohammed ben Duval”. Invece Paolo VI come gesto di stima nei suoi confronti nel 1965 lo aveva nominato cardinale. Su quell’opzione autorevole era cresciuta l’esperienza di una chiesa impegnata nel sociale e vicina alla maggioranza musulmana. Una posizione che papa Prevost mette in chiaro rilievo nel suo messaggio, come indicazione chiara anche per i cristiani di oggi nel mondo. «È questa via di presenza e di semplicità, di conoscenza e di “dialogo della vita” la vera strada della missione. Non un’auto-esibizione, nella contrapposizione delle identità, ma il dono di sé fino al martirio di chi adora giorno e notte, nella gioia e fra le tribolazioni, Gesù solo come Signore».
I 19 religiosi e religiose con il crescere del fondamentalismo islamico si erano trovati di fronte all’opzione se restare e accettare quindi l’altissimo rischio a cui si esponevano oppure lasciare il paese: per questo nel titolo della mostra del Meeting li si definisce “chiamati due volte”. Dopo la chiamata per la loro vocazione hanno risposto ad una seconda chiamata per stare vicini al popolo in mezzo a cui vivevano. Il caso più noto è quello dei sette monaci uccisi a Tibhirine nel 1995, raccontato anche in un film molto bello e di successo “Uomini di Dio” girato da Xavier Beauvois: tra le vittime di quell’eccidio c’è anche un monaco frére Luc, medico, che tempo prima non si era tirato indietro dal fornire cure ad un terrorista che si era presentato al convento perché ferito negli scontri con l’esercito. La mostra proposta da Fondazione Oasis e da Libreria Editrice Vaticana si conclude con la lettura di un testo emozionante: il testamento di Christian de Chergé, superiore della comunità di Tibhirine. Esprime così la sua prima preoccupazione davanti all’ipotesi di essere ucciso: «Che questo popolo che amo possa essere indiscriminatamente accusato del mio assassinio». Emblematicamente nella grande icona dipinta in occasione della beatificazione insieme ai 19 è stato inserito anche Mohamed Bouchiki autista musulmano di una delle vittime, il vescovo Claverie, e rimasto ucciso anche lui nell’attentato.
Rientra anche lui nella lunga fila di testimoni indicati da Leone XIV nel suo messaggio: «Senza le vittime della storia, senza gli affamati e gli assetati di giustizia, senza gli operatori di pace, senza le vedove e gli orfani, senza i giovani e gli anziani, senza i migranti e i rifugiati, senza il grido di tutta la creazione non avremo mattoni nuovi. Continueremo a inseguire il sogno delirante di Babele, illudendoci che toccare il cielo e farsi un nome sia il solo modo umano di abitare la terra»
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