Famiglia

Pedofilia: un corso di autodifesa

Lo consiglia Alberto Pellai, dell'Università degli studi di Milano, a margine del convegno 'Pedofili oggi: proviamo a curarli?' in corso a Milano

di Redazione

La vittima ideale di un pedofilo? “Un bimbo che non sa nulla di questo pericolo, a cui non e’ stato detto niente e che, all’inizio dell’abuso, e’ a disagio ma resta li’, magari perche’ si tratta di un amico di famiglia, una persona conosciuta”. Lo spiega all’ADNKRONOS SALUTE Alberto Pellai, ricercatore del Dipartimento di sanita’ pubblica dell’Universita’ degli studi di Milano, a margine del convegno ‘Pedofili oggi: proviamo a curarli?’, in corso a Milano.

“A descrivere la loro vittima ideale sono stati gli stessi pedofili – prosegue l’esperto – Ma questo deve spingerci a fare qualcosa, a insegnare ai piccoli a riconoscere il pericolo e a dire no, a scappare. A riconoscere il tocco buono e quello cattivo”. Proprio con questo scopo, per circa sei anni sono stati tenuti corsi nelle scuole elementari di Milano, che hanno coinvolto migliaia di bambini, insegnanti e genitori. Un progetto, dal tema ‘Le parole non dette’, “che ora abbiamo portato a Varese. E’ importante – ribadisce l’esperto – che i genitori sappiano che gli abusi all’infanzia costituiscono il crimine piu’ frequentemente commesso contro i bambini, ma anche che una corretta formazione e una costante attivita’ di prevenzione sono armi efficaci. I bambini che apprendono e conoscono i principi della sicurezza personale e della prevenzione dell’abuso – dice Pellai – sono piu’ capaci di reazione e si sentono piu’ autosufficienti quando si trovano in situazioni di rischio”.

“Si tratta di insegnare ai bambini a decodificare le loro emozioni e a reagire in modo adeguato”. Quando un piccolo subisce un abuso, a livello razionale rischia infatti di interpretare in modo erroneo le intenzioni dell’adulto, perche’ spesso e’ una persona in cui ha fiducia e dalla quale non potrebbe mai aspettarsi del male. “A livello emotivo pero’, sente un disagio – assicura Pellai – qualcosa che, sulla base di numerose testimonianze di vittime, si puo’ paragonare a ‘un vulcano che si accende in pancia’”.
Il fatto di imparare a sentire le proprie emozioni, a fidarsi di loro e a parlarne con una persona di fiducia, permette ai bambini di riconoscere i pericoli e di avere maggiori strumenti per sapere cosa fare. Sapere di poter dire no a un ‘grande’ “quando ‘la pancia’ segnala un disagio, ha un valore preventivo che sono i pedofili stessi a confermare: molti – prosegue l’esperto – raccontano che di fronte a un bambino che reagisce e tenta di sottrarsi alla vittimizzazione, preferiscono lasciarlo andare via per non incorrere nel rischio di essere visti o scoperti”.
Certo, per ogni eta’ occorre un linguaggio adatto. Se per parlare ai piu’ piccoli si puo’ ricorrere a filastrocche (lo spiega Pellai nel volume ‘Un bambino e’ come un re. Come mamme e papa’ possono crescere bambini sicuri e prevenire gli abusi sessuali sui minori’, edito da FrancoAngeli), per i piu’ grandi si ricorre al gioco e alla drammatizzazione. “I primi a potersi difendere sono proprio i bambini, a cui insegniamo a essere competenti – conclude – quindi a riconoscere il pericolo e a dire no”.

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