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PENSIONI. Acli, sì alla riforma ma…

Il presidente Olivero: «No alla riforma per fare cassa»

di Redazione

L’unificazione dell’età pensionabile con l’innalzamento a 65 di quella delle donne «non è un tabù» per le Acli, ma va fatta a tre condizioni: all’interno di un piano di riforma degli ammortizzatori sociali concordato con le parti sociali; prevedendo un adeguato “risarcimento” per il sovraccarico di lavoro familiare e di cura compiuto dalle donne; ripristinando il principio della flessibilità di accesso al pensionamento.
«La riforma delle pensioni non può essere utilizzata per fare cassa» – spiega il presidente delle Acli Andrea Olivero – «ma può essere concepita solo nel contesto di una riforma del welfare discussa dalle parti sociali e orientata a promuovere maggiori tutele per i giovani e per quelle fasce di lavoratori che oggi ne sono privi».
La seconda “condizione” posta delle Acli riguarda il tema del “risarcimento”. Sulle donne infatti «ricade un sovraccarico di lavoro familiare e socio-assistenziale che finora è stato risarcito con l’agevolazione nell’età pensionistica». «Non si può innalzare automaticamente l’età pensionistica delle donne senza affrontare concretamente la questione degli asili e dell’assistenza agli anziani».
Infine, dicono le Acli, «si può equiparare l’età pensionabile tra donne e uomini ma nel rispetto della flessibilità di accesso al pensionamento, recuperando lo spirito della riforma del 1995». Spiega Olivero: «La progressiva elevazione della speranza di vita impone certamente di innalzare progressivamente anche l’età pensionabile, ma ciò non deve avvenire in una prospettiva di rigidità, che assume l’età di 65 anni come termine unico di riferimento. Appare più equo ripristinare un arco temporale di 5-7 anni, o anche più, nell’ambito del quale sia possibile, alle donne come agli uomini, accedere al pensionamento, rendendo più favorevole il calcolo di pensione per chi sceglie di andare in pensione più tardi».

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