Non profit
Per diventare italiani imparate a giocare a calcio
Oriundi e vite in stand-by
di Redazione
Lungi da me il volermi addentrare in argomentazioni tecniche e burocratiche. Spesso, però, mi capita di sentirmi a disagio quando vedo giocatori di calcio o altri genere di sportivi provenienti da Paesi extracomunitari che, arrivati al successo in Italia, chiedono la cittadinanza italiana. Certo, per legge, avendo “antenati” di origine italiana gli spetta, è un loro diritto.
Loro possono così votare e decidere per me che vivo e “subisco” l’Italia da decenni, anche se, magari, non sono mai stati in Italia prima, non parlano l’italiano, non hanno nulla a che fare con il “mio” Paese. Non lavorano nelle mie fabbriche, non utilizzano i miei mezzi di trasporto?
Per tutti gli altri, cioè per quelli nati in Italia da genitori extracomunitari, niente, a loro non spetta nulla. Debbono attendere il compimento della maggiore età perché, seppur nati in Italia e magari non avendo mai avuto la possibilità di visitare i Paesi d’origine dei loro genitori, loro non sono italiani dalla nascita.
Io sono arrivata in Italia che avevo 2 anni, e ogni quattro anni dovevo presentarmi in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno. Un’esperienza frustrante e orribile, che non augurerei neppure al mio peggiore nemico: solo chi l’ha vissuta può capire di cosa parlo. Capisco che la prassi e la burocrazia debbano seguire il loro percorso, e non voglio riaprire qui questo lungo discorso, ma mai come in questi casi la burocrazia diventa sorda e cieca nel non vedere i reali bisogni ed esigenze di questi nuovi italiani, che forse è meglio chiamare “italiani in stand-by”.
Tutto questo lo trovo semplicemente ingiusto: e pensare che bastava avere almeno un antenato italiano nell’albero genealogico, e saper dare due calci al pallone, per risparmiarmi tutte queste tribolazioni…
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