Non profit

Per menù, la semplicità

di Redazione

L’epoca moderna consente a noi abitatori della storia di usufruire di miracoli tecnologici che a volte ci fanno perfino dubitare della necessità di Dio.
Il compiersi prepotente e affascinante della tecnologia sta modificando dentro di noi la percezione di chi siamo e di cosa ci sentiamo in diritto di provare.
Una volta acquistavamo una macchina fotografica ? spesso ci veniva regalata il giorno della Cresima ?, si mettevano da parte i soldi per i rullini e poi si portavano a stampare; un terzo erano da buttare, ma le altre le si incorniciava, le si metteva nell’album, con il quale si sfinivano gli amici fino a tarda notte. Oppure dolcemente ci si immalinconiva nelle sere di inverno, ogni pagina che si voltava si era più grandi di qualche anno, in genere con 8-9 pagine si passava dall’asilo fino a quando si diventava papà. Un centinaio di foto per sintetizzare 30, 40 anni di vita.

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Ora nei nostri computer immagazziniamo 18.756 foto, tradotti in gigabyte: 122. Vi ricordo che i primi pc portatili avevano un hard disk di 20, 30 giga al massimo.
Se una volta per vedere un album di un nostro amico ci si rovinava una serata intera, e calcolando che un album contenesse poco più di un centinaio di foto, significa che per vedere tutta la collezione su iPhoto di 18.756 foto dovremmo romperci le balle per 187 giorni, praticamente tutto l’autunno e l’inverno!
È per questo che le foto sui computer non le guarda più nessuno: si scatta come degli invasati con i cellulari, con le macchine compatte, con gli iPad, si scaricano sul pc e poi ci si vanta con gli amici. Non si dice: «Sono stato in India e ho fotografato il Taj Mahal all’alba», ma «ho fatto un viaggio con un last minute e ho portato a casa 80 giga di immagini, vuoi venire a vederle mentre ci mangiamo un sashimi da asporto?». «Verrei volentieri, ma stasera devo importare tutta la mia libreria di musica sull’iPhone: 3.672 brani, 64 giga, 28 giorni di ascolto».
Una volta si conoscevano a memoria le parole delle canzoni di tutto l’Lp, ora non sappiamo nemmeno chi canta, perché usando il random è il device che decide cosa ascoltare.
Rischiamo di non avere più la foto del cuore che ingiallisce e si piega insieme a noi, rischiamo di non amare più nessun cantante, confusi e ammassati dentro agli hard disk di un terabyte. Convinti come siamo di poter possedere tutto, di conoscere tutto, in realtà accumuliamo tutto, con il terrore che nessun cantante possa sfuggire alle nostre playlist, che ogni momento della vita possa essere fotografato e immagazzinato. L’importante è archiviarlo, backupparlo, duplicarlo, masterizzarlo. Vedere o ascoltare è secondario.

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Lo stesso vale per il cibo, per la cucina: vorremmo aver assaggiato tutto, mangiato di tutto, cinese, giapponese, messicano, africano, mongolo, toscano, francese, emilano. Per non parlare delle vertiginose elaborazioni dei cuochi a 2 o 3 stelle Michelin, dove si arriva al miracolo della cuisine molecoler: non substance ma nuance!
Proposta per questo periodo pasquale, che vale come rinuncia e come meditazione sulla semplicità: e se per una mezza giornata ci comprassimo una michetta ancora calda e aggiungessimo due fette di salame, e da bere rigorosamente una bonarda dell’Oltrepò? Poi uno scelga una canzone a piacere (io sceglierò Have i told you lately then i love you, di Van Morrison), poi mettiamo una foto dei nostri nonni appoggiata alla bottiglia e iniziamo a porci queste domande: Come si fa una michetta? Con che farina? Come si fa a farla con quella forma? E il salame, quanto ci vuole perché sia commestibile? E Van Morrison, a chi avrà dedicato quella canzone, per chi si sarà sentito lo scrupolo di domandarsi «se ultimamente le aveva detto che l’amava»?
Infine, i nonni della foto ci aiuteranno forse a non essere così in ansia se all’ultimo nostro compleanno il display del nostro smartphone ci ha detto “memoria piena, non è possibile scattare altre foto”. Perché loro, i nonni, le foto del loro compleanno non le hanno mai avute.

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