Non profit
Per una sussidiarietà circolare, dove ognuno fa la sua parte
Un intervento del presidente dell'Auser
di Redazione

Bisogna evitare che il volontariato svolga un ruolo di supplenza e/o di mera sostituzione dell’intervento pubblico, ma agisca in modo integrato con tutti i soggetti portatori di interessidi Michele Mangano
La decisione dell’Unione Europea di considerare il 2011 come l’Anno europeo del volontariato ci permette di aprire una riflessione ampia e ragionata sullo stato di salute del volontariato nel nostro Paese; sulle sue molteplici attività; sul grado di partecipazione dei cittadini all’impegno volontario; sulle criticità che nascono da una normativa ormai obsoleta che regola la materia.
Tutto questo per evitare, come è stato opportunamente scritto, che anziché agire sui bisogni sociali si rischia di chiudere il volontariato in un museo e/o in trappole burocratiche che sfiancano la partecipazione. Credo che bisogna partire da quest’ultima considerazione per rispondere agli interrogativi opportunamente sollevati su Vita da Riccardo Bonacina a partire dalla «percezione che ha il volontariato della propria identità e come la comunica».
Noi dell’Auser riteniamo che l’esperienza piemontese citata dall’editoriale non sia riconducibile ad una dimensione nazionale del problema relativo all’identità del volontariato. La nostra esperienza sul campo ci conferma che lo scatto che promuove la scelta del fare volontariato è e rimane ancora quella dell’indignazione. L’indignazione è una molla che fa scattare la solidarietà, ma anche la voglia di fare che non si rivolge solo al lavoro di cura, ma anche alla valorizzazione e alla fruibilità dei beni civici.
Riteniamo che la società possa e debba ancora contare su questa enorme risorsa che rappresenta il volontariato a tutte le età e che costituisce un autentico patrimonio che va riconosciuto e valorizzato con politiche attente e mirate e con norme aggiornate alla realtà di oggi. A partire, per esempio, da una revisione organica della legge che regola tutta la materia.
Le domande che si devono porre alle istituzioni ed al governo sono semplici e al tempo stesso stringenti: perché non si aggiorna una legge che risale al lontano 1991? Perché il ministero del Welfare non riordina ed aggiorna i compiti e le funzioni degli osservatori sul volontariato, la tenuta degli albi e dei registri? Perché non si stabilizza lo strumento di sussidiarietà fiscale?
L’altro punto rilevante è quello della rappresentanza. Se consideriamo valido il ruolo del volontariato nelle realtà territoriali, occorre avere chiaro che lo spontaneismo da solo non basta a rendere efficace l’azione del volontario. Non occorre moltiplicare o ridurre i tavoli; occorre, invece, che nelle sedi in cui si programma l’intervento sociale ci sia la presenza delle associazioni che raccolgono la domanda in modo che l’organizzazione dell’offerta e la coprogettazione degli interventi sia coerente con le politiche di programmazione e d’intervento nelle comunità. Attraverso questo sistema si può frenare una tendenza che vede in qualche caso le associazioni di volontariato subalterne a decisioni e/o programmi d’intervento decisi verticisticamente e/o per interessi collegati al contenimento della spesa sociale.
In questo l’idea di declinare in modo più efficace il principio costituzionale della “sussidiarietà” è indispensabile. Ma per fare questo bisogna che il volontariato agisca in modo integrato con tutti i soggetti portatori di interesse come lo Stato, il sistema delle autonomie locali, il privato (profit e non profit) attuando così un’idea di sussidiarietà “circolare”, dove ogni soggetto è chiamato a svolgere il proprio ruolo ed a fare la sua parte.
Se questi temi entreranno nel vivo del dibattito e delle iniziative per l’Anno europeo del volontariato, potremmo fare dei notevoli passi in avanti sul futuro del volontariato in Europa e nel nostro Paese.
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