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Piccola Anna ti spiego chi era tua nonna

di Redazione

Ha 31 anni e ne dimostra dieci di meno. Non è molto alta e ha una corporatura esile, ma la sua forza interiore impressiona. La vedi seduta, silenziosa, e ti viene da proteggerla. Poi incontri il suo sguardo determinato e inizi a sospettare che forse l’apparenza inganna, che forse questa piccola donna ha le idee molto chiare.
Va in giro per il mondo a far conoscere la storia di sua madre ma non ha intenzione di raccontare niente che sia anche vagamente personale. Ha ben chiari i confini tra quello che per lei è importante dire e quello che non ha nessuna intenzione di rivelare. Si rifiuta – per esempio – di descrivere la personalità della madre. «Era introversa, aveva un carattere difficile», si limita a dire, «ma il resto riguarda solo la mia famiglia». Non ci dice neanche di che cosa le piacesse parlare. Di politica e giornalismo, certo, ma il resto preferisce tenerlo per sé.
Un atteggiamento che può disorientare e alza come una barriera con l’interlocutore, ma porta anche un senso di pulizia, di pudore nella narrazione, a cui in Italia non siamo abituati. Sarà perché Vera è russa. E sarà anche perché Vera è la figlia di Anna Politkovskaja, la giornalista che, per aver denunciato le violazioni dei diritti umani in Cecenia e la corruzione della cerchia di Putin, si è ritrovata con una pallottola nella testa. L’assassinio risale al 7 ottobre 2006.

Le procedure
«Abitavo da lei, e quella mattina abbiamo iniziato la giornata insieme», racconta Vera. «Era una mattina come le altre. Mia madre faceva la giornalista, ma fuori dal lavoro aveva una vita normale, fatta di momenti normali, trascorsi in famiglia. Quella mattina me la ricordo bene; ho tanti ricordi cari, ma i più vividi riguardano proprio quegli ultimi giorni. Dopo colazione ci siamo separate convinte di rivederci di lì a poco, come al solito. Lei andava a lavorare e io a fare la spesa. Io ero incinta di tre mesi, cominciavo a pensare alla mia bimba, a comprare stupidate per lei… Poi, siccome continuavo a chiamarla e non mi rispondeva al telefono, ho chiesto a mio fratello di andare a controllare che stesse bene: nostra madre aveva già subito un tentativo di avvelenamento e da allora non si era più ripresa, temevo avesse avuto un malore. Invece, dieci minuti più tardi, mio fratello mi richiamò e mi disse che era stata uccisa. Da lì, è iniziata la procedura». La procedura? «La polizia ha voluto avere accesso agli archivi, al computer, a tutte le sue cartelle. E gli interrogatori sono durati fino alle quattro del mattino. Mia madre, che da anni subiva minacce di morte, ci aveva spiegato cosa fare e a chi rivolgerci nel caso le fosse accaduto qualcosa. Solo che in quel periodo, con il nonno morto da poco, la nonna che stava male, io incinta e mia madre che aveva considerato di smettere il suo lavoro con l’arrivo della bambina, non pensavo che quel momento sarebbe arrivato davvero…».
Anna Politkovskaja scriveva per la Novaja Gazeta e pare fosse in procinto di pubblicare un altro pezzo sulle torture in Cecenia ad opera dell’esercito privato del primo ministro Ramzan Kadyrov. Gran parte del materiale su cui lavorava è stato sequestrato; dal processo in corso non è ancora emerso chi ne abbia ordinato la morte.

Parlarne, sempre
«Credo fermamente che un giorno giustizia sarà fatta. Il problema è quando. La politica deve prima cambiare per permettere a un fatto del genere di venire alla luce», è la convinzione di Vera, è su questo è decisa, non ha nascondimenti.
Intanto, nell’attesa di quel giorno, Vera parla al mondo di sua madre. Viaggia, per quello che può, con la bambina piccola. Il resto lo fa il fratello. Fino ad ora sono stati in Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Svezia. «Desideriamo che la gente si ricordi di nostra madre, del suo lavoro, della sua morte. È di questo che parliamo durante gli incontri pubblici. Nonostante abbia lavorato in Russia e si sia occupata delle vicende del nostro Paese, la Russia non vuole parlare di lei. Noi teniamo alta la sua memoria, in modo che quello che ha fatto, che ha raccontato, continui ad avere significato per il più alto numero possibile di persone». Tutto qui. Vera è venuta a maggio in Italia invitata da Mondo in Cammino, una onlus che si occupa di cooperazione internazionale e solidarietà nell’Est europeo. Ha girato le città, incontrato gli studenti, la gente comune, sindaci e giornalisti.

Una nuova Anna
«Anna cercava la verità, la vedeva, la raccontava a chi non la poteva vedere. E rimaneva coinvolta dalle vicende dei personaggi delle sue storie», racconta Vera. Nel 2004, a Beslan, quando i terroristi presero in ostaggio i bambini della scuola Numero Uno – ne morirono poi 186 in seguito all’irruzione delle forze speciali russe – lei entrò nell’edificio per portare riserve d’acqua ai piccoli. «Aveva paura, ovvio», dice Vera, «ma non si è tirata indietro». Anna è stata uccisa per il suo coraggio e Vera oggi ne è testimone. «Tutto quello che sono me lo ha insegnato lei», dice. Semplice. Chiaro. Scomodo.
Forse con l’attuale presidente Medvedev, figlio della nuova generazione, il suo desiderio si potrà un po’ alla volta realizzare. Per ora, comunque, anche se vorrebbe contribuire più attivamente al miglioramento del suo Paese, pensa solo a fare la mamma. A marzo 2007, cinque mesi dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja, è nata la piccola Anna. In Italia, Vera è venuta insieme a lei. Chiamare la figlia con il nome della madre è una scelta forte, addirittura compromettente. «Quando sarà un po’ più grande le racconterò tutto di sua nonna, di che cosa ha fatto, anche di come è morta. D’altronde, è stata una vicenda talmente clamorosa che sarebbe difficile tenerglielo nascosto. Le auguro che possa essere una donna felice. Per adesso mi dedico completamente a lei e cerco di insegnarle a essere sincera, a fare le cose a partire dal cuore».

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