Mondo
Plauso dell’Anfaa per la sentenza della Cassazione
L'associazione condivide la linea contraria ai decreti vincolati sull'etnia del bambino. E ricorda che il Piemonte sostiene economicamente le adozioni difficili
di Redazione
L’Anfaa condivide pienamente la sentenza dalla Suprema Corte, che il primo giugno si è espressa contro i decreti d’idoneità di natura “razzista”. Secondo la Cassazione “il decreto di idoneità all’adozione pronunciato dal tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 30 della legge n. 184 del 1983 e successive modifiche non può essere emesso sulla base dei riferimenti alla etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni relative a tale etnia”.
“L’adozione internazionale è nata in Italia con la legge n. 431/1967, come concreto riconoscimento dell’uguaglianza di tutti i bambini nel fondamentale diritto alla famiglia”, ricorda Donata Micucci, presidente Anfaa. “La famiglia che adotta un bambino aiuta a superare il mito dell’indissolubilità del legame di sangue. Chi diventa genitore di un bimbo di etnia e nazionalità diversa può contribuire a superare in modo ancora più concreto le barriere che tuttora separano gli uomini dando una testimonianza di solidarietà senza confini.Testimonianza ancora più importante in questo momento, in cui assistiamo a crescenti fenomeni di razzismo”.
Le Convenzioni internazionali di New York, e, più in particolare, quella de L’Aja del 1993 relativa alla tutela dei minori e alla cooperazione in materia di adozione internazionale, hanno stabilito dei principi di fondo per la tutela dei diritti dei bambini che sono stati accolti dalle legislazioni di molti Paesi, compresa l’Italia, che l’ha ratificata con la legge n. 476/1998.
Alla base della Convenzione de L’Aja c’è il convincimento che l’adozione internazionale deve essere realizzata nell’interesse preminente del minore in reale stato di adottabilità, non rimediabile nel suo Paese attraverso l’inserimento in un’altra famiglia.
“Per porsi però in modo corretto di fonte all’adozione internazionale ricordiamo che occorre partire dal diritto del minore a una famiglia e non considerare prioritarie, invece, le aspirazioni degli adulti”, prosegue Micucci. “Soltanto il reale e accertato stato di adottabilità del minore – che non deve essere confuso con la condizione di povertà – qualunque sia la sua nazionalità, rappresenta il presupposto indispensabile per l’adozione”.
“Le condizioni spesso drammatiche in cui vive il minore nel proprio Paese d’origine, non possono far pensare che per questi bambini sia sufficiente una famiglia qualsiasi, ma è compito delle Istituzioni individuare fra le famiglie disponibili quella più idonea. Quella dei genitori adottivi di un bambino straniero è una scelta che deve comportare quindi la piena accettazione di un bambino, qualunque sia la sua origine, il suo colore, il suo volto, nella convinzione profonda che tutti i bambini sono uguali e hanno lo stesso diritto a essere amati. Fondamentali sono quindi un’ attenta preparazione e valutazione dell’idoneità degli aspiranti genitori adottivi, anche per escludere quelli che non presentano i necessari requisiti per diventare genitori di bambini di etnie diverse”.
“Un’altra considerazione a margine della sentenza”, conclude la Micucci. “I bambini italiani e stranieri adottati hanno sovente alle spalle storie di violenze e maltrattamenti spesso inaudite, che lasciano cicatrici anche profonde su di loro. I loro genitori non devono essere lasciati soli, come ancora troppe volte succede: devono essere supportati dalle Istituzioni con aiuti sociali ed economici adeguati. Segnaliamo che finora la Regione Piemonte è l’unica ad aver approvato delibere e stanziato fondi mirati per supportare queste adozioni”.
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