Famiglia
Primi della classe nell’abbattere barriere
La storia di Antonella: ha lasciato una cattedra tradizionale per dedicarsi ai ragazzi disabili. E che considera il suo più grande successo aver portato alla maturità un ragazzo sordocieco
di Redazione
Sono sempre stati considerati il fanalino di coda, l?ultimo anello nella catena degli insegnanti, che magari serviva solo a entrare di ruolo, per poi rifugiarsi tra i cosiddetti studenti normodotati. E invece tanti di loro, pur tra mille difficoltà, portano avanti progetti di integrazione fuori e dentro le mura scolastiche. Antonella Giordano, insegnante di sostegno dal 90, ci scherza su: «Lavoro con i normodotati gravi», ma non tornerebbe indietro per nulla al mondo. Quando ha iniziato aveva già una cattedra fissa in educazione fisica a Bologna. Perché mai cambiare? «Nell?86 ho avuto il primo caso difficile», racconta, «mi sono appassionata, ho chiesto di passare al sostegno, ho preso la laurea in pedagogia per specializzarmi». Oggi è lei a ?formare? gli specializzandi della Siss. E i nomi dei ragazzi che ha avuto come alunni all?istituto d?arte di Bologna, dove insegna, le tornano alla mente uno dopo l?altro, come fossero ancora suoi studenti. Chiara è quella che ricorda per prima: l?epilogo è dei più tristi, è morta dopo una lunga malattia degenerativa, ma la sua scomparsa ha lasciato un segno indelebile. «Ci eravamo attrezzati con tutti gli ausili necessari, dopo pochi mesi si è aggravata e l?abbiamo seguita a casa. Dopo la sua morte i compagni di classe hanno terminato il libro-racconto che aveva iniziato a scrivere, illustrandone anche le pagine».
Fin dal 92 l?istituto d?arte (14 insegnanti di sostegno, tra i 30 e i 35 alunni disabili ogni anno) ha avviato progetti di scuola-lavoro. «Per chi aveva difficoltà a concludere gli studi abbiamo creato stage in cooperative sociali e botteghe di artigiani». Oggi cinque lavorano stabilmente e uno, Christian, fa il falegname a tempo pieno. «Nell?ora di disegno lavorava al contrario, faceva prima il modellino e poi il progetto, per lui era più semplice saltare la fase astratta e passare alla pratica».
Con qualcun altro invece è stato rivisto il programma. «In certi casi abbiamo sdoppiato l?esame di maturità, un anno alcune materie e l?anno successivo quelle rimanenti, nel frattempo però ampliavano le ore di stage». E adattando tutto su misura sono riusciti persino a far diplomare all?istituto d?arte un ragazzo sordo-cieco. «Quando Marco è arrivato non sapevano nemmeno da che parte iniziare, poi abbiamo creato un sistema di comunicazione tattile, tramite le sculture fatte dai compagni. Alla fine ha sostenuto anche la maturità».
E i buoni esempi non mancano nemmeno al Sud. Siamo in una scuola media di Bari, quartiere Japigia, e Lorenzo è uno dei ragazzi autistici che grazie a una rete costruita ad hoc tra istituti scolastici, Asl e famiglie dell?associazione Angsa Puglia possono essere seguiti con il metodo cognitivo-comportamentale. Quando arriva in classe trova un cartello con disegnati tutti i simboli che gli servono per muoversi autonomamente: quello che indica l?aula di sostegno, quello per fare merenda o andare in bagno. «Abbiamo fatto un gran lavoro di formazione», spiegano Mario e Monica Chimenti, i genitori di Lorenzo, lui anche presidente di Angsa Puglia. «Si parla tanto di barriere architettoniche, ma immagini che barriere vive chi ha un ghetto psichico, chi magari un sussurrio lo sente come un rumore assordante, non sopporta luci al neon e ha parametri di percezione completamente ribaltati». E infatti i ragazzi hanno un ?ambiente dedicato? quando sono con l?insegnante di sostegno. «In classe hanno imparato tutti a relazionarsi nel modo giusto, da soli non avremmo fatto nulla». Oggi sono già stati attivati due centri Asl con équipe specializzate in disturbi dello sviluppo, legate a doppio filo con le scuole elementari, medie e superiori di Bari 3 e 4, ma presto il progetto dovrebbe espandersi su tutto il territorio pugliese.
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