Cultura
Private equity la bomba tedesca
Il capitalismo selvaggio delle locuste è alla base del tracollo di Schroeder?In Italia il fenomeno è molto circoscritto. (di Christian Benna)
di Redazione
Schroeder affondato dal private equity. Il salvagente anti capitalista gettato da Franz Muentefering, il numero uno dell?Spd, contro «le locuste che succhiano il sangue delle imprese tedesche», si è rivelato un boomerang che ha aperto un?ulteriore falla nella barca del partito di governo. La coalizione rosso verde perde anche il land più popoloso della Germania, il Nord Reno Westfalia, e cola a picco costretta a elezioni anticipate. Una caduta verticale ai minimi storici del consenso politico. Nemmeno in tempo per digerire la valanga di critiche dell?alta finanza internazionale e il lancio di uova del primo maggio dei lavoratori di Duisberg, che «gli insetti verdi del neoliberismo anglosassone hanno aperto un nuovo varco nella febbricitante economia tedesca. Si tratta dell?ultima e la più grande operazione in Germania di private equity – i ?temutissimi? fondi di investimento in capitale di rischio che acquisiscono aziende, per uscirne poi in un arco temporale di 3/10 anni con lo scopo di guadagnare dalla vendita tramite il collocamento in Borsa o la cessione – e vede ancora una volta in prima fila un operatore anglosassone. Terra Firma Capital ha comprato per la cifra record di 8,8 miliardi dollari Viterra, utility immobiliare del gruppo tedesco Eon. Muentefering cassandra inascoltata o semplicemente politico con le spalle al muro?
Da un lato ci sono i lavoratori duramente colpiti dalla crisi economica (oltre 5 milioni i disoccupati). Dall?altro c?è il crescente potere delle società estere, padroni senza volto come quello dei fondi speculativi, manifestatosi con l?arroccamento di un hedge fund britannico, il Children?s Fund Investment, socio di minoranza di Deutsche Borse, nell?acquisizione strategica della Borsa londinese. Un no in salsa inglese che ha fatto saltare un affare strategico per la Germania, ha portato alle dimissioni del presidente del listino tedesco Werner Siefert e scatenato il dibattito sui flussi di capitali esteri nell?ex polmone dell?economia europea. «È del tutto normale che ci sia preoccupazione», sostiene Luigi Sala, membro del board di Evca (European private equity and venture capital association) e nel management di Bs Investimenti Sgr. «Il fenomeno del capitale di rischio ha assunto notevoli dimensioni (30 miliardi di investimenti in Europa solo nel 2004, pari al 10% di tutte le transazioni di acquisizione e vendita di imprese) e sta cambiando gli assetti proprietari. Ma non capisco né condivido la definizione di locuste rivolte ad operatori che contribuiscono alla crescita economica. È vero tuttavia che il grande ruolo di matrice angloamericana di certi fondi, che hanno indubbiamente vantaggi competitivi, può generare timori, come anche il ricorso alla leva finanziaria del debito in certe acquisizioni».
«Private equity? Sono biechi capitalisti», esordisce ironicamente Elserino Piol di Pino Sgr, storico operatore del capitale di rischio nell?It italiano, dall?Olivetti all?avventura di Renato Soru in internet. «Grandi fondi come Blackstone sono la quintessenza del capitalismo. Ma fanno del bene all?economia. E poi non confondiamo sulla terminologia. Colaninno fa del private equity: scala un?azienda e dopo un certo periodo, con relativi guadagni, la rivende. E prima ancora c?era Mediobanca con le sue partecipazioni. Si può dire che Cuccia sia stato il pioniere del private». Eppure le critiche, che non fioccano solo in Germania, non fanno sconti: il capitale di rischio punta a snellire le aziende che conquista per poi disfarsene come un pacchetto di azioni che ha offerto il massimo rendimento, senza alcuna idea di creare ricchezza per l?azienda e il Paese in cui essa opera.
«In ogni espressione del capitalismo», precisa Giampio Bracchi, presidente di Aifi, associazione italiana del private equity e del venture capital, «ci sono regole che non funzionano o operatori particolarmente speculativi. Ma bisogna guardare al mercato. Quali sono le vie di uscita per le aziende? La Borsa? È troppo difficile entrarci. Oppure farsi inglobare dalle multinazionali. Il private equity è una forma alternativa per lo sviluppo aziendale. Le statistiche dimostrano che quando entra un operatore in una società, questa cresce il doppio delle altre e aumenta l?occupazione». E aggiunge: «A differenza delle banche che con il credito finanziano le aziende, il private non è solo interessato al ritorno delle somme prestate, ma soprattutto deve valorizzarle per ricavarne un guadagno». Il punto dolente in Italia (dove il private ha dimezzato le sue attività da 3 miliardi a 1,4) è la marcata presenza di operatori legati al sistema bancario, che può portare a un evidente conflitto di interessi. Ma anche le istituzioni stanno creando fondi per la creazione e il sostegno dell?impresa. «La globalizzazione e il rischio cinese non li si vincono con il made in Italy, che è mercato ormai di nicchia. Ma solo sviluppando imprese ad alto contenuto tecnologico, con l?ausilio del venture capital, il capitale di rischio che finanzia le start up».
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